Qualche giorno fa ho visto i quadri di Gaspare
Mutolo, l’autista di Totò Riina. Da anni Mutolo è un collaboratore di
giustizia. Le sue opere sono quasi tutte firmate “Mutolo Gaspare”. Prima
il cognome e poi il nome, come un uomo quando si trova
al cospetto della Legge. Prima il cognome e poi il nome, come in un
interrogatorio. Prima il cognome e poi il nome, quello che sei viene
dopo. Nelle trenta tele esposte - dedicate a quella Palermo e a quella
Sicilia che Mutolo non visita da anni - ho visto un cielo limpido e
sereno e un mare solcato da navi che non conoscono la tempesta. Ho
capito che lo sguardo di Mutolo si ferma al Monte Pellegrino, dominus
della città, meta dei fedeli di Santa Rosalia. Oltre non riesce ad
andare con il suo stile "grezzo, impuro e naturale" (cit. Fulvio
Abbate). Ho visto serenità interiore in quelle tele, anche quando
gigantesche piovre dai neri tentacoli abbracciavano le ordinate e
colorate case palermitane. Quella serenità che ho percepito, non riesco
però ancora a decifrarla.
«Fútbol y Patria». «Peronistas, Populistas y Plebeyos». «Historia mínima del fútbol en América Latina». Questi sono solo tre titoli di una ricca produzione saggistica fatta di cronache politico-culturali e indagini sociologiche e letterarie. Chi vuole sapere di calcio e cultura popolare sudamericana deve passare per gli scritti di Pablo Alabarces e capirà qualcosa di cantanti mitologici come Palito Ortega, rock, tifoserie, sistema mediatico, violenza da stadio. Sociologo, argentino classe 1961, Alabarces è titolare di cattedra presso la UBA, l’Università di Buenos Aires. Lo incontriamo a Roma, zona Stazione Termini. Pablo è da poco rientrato nella capitale al termine di un bel soggiorno in una Napoli ebbra di festa per lo scudetto e dopo aver visitato Viggianello, borgo della Basilicata ai piedi del Pollino. «È la quinta volta che sono in Italia. Non ero mai stato nel paese dove nel 1882 nacque Antonio Carmelo Oliveto, mio nonno materno», ci racconta mentre ci incamminiamo verso Piazza
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