Il derby è finito. L’ho seguito in streaming e le immagini arrivavano con qualche minuto di ritardo. Ma le urla del condominio sono state la punteggiatura migliore della partita. Qualche ululato al gol della Lazio, clima da stadio all’errore di Hernanes e al rigore di Totti. Ho visto uno stadio con ampi settori vuoti e ho pensato agli scontri del pomeriggio, fotografia di un calcio forse inutile e di una città in sofferenza. Su Raidue è poi iniziato lo speciale su Califano e così ho messo su un paio di suoi vinili. No, Youtube non sempre è un sicuro rifugio quando si cercano musica e parole. Riflettevo sulla poetica del Califfo e ho pensato che anticipi in pieno l’individualismo libertino di Vasco Rossi, fatto di ore piccole e fegati orgogliosamente maltrattati, contraltare della libertà partecipativa di Gaber o dello spirito libertario di De Andrè. No, il Califfo non mi rappresenta ma la sua “voce malandata” mi fa riassaporare Roma, città di cui da anni cerco di scorgere un’identità senza riuscirci. Una Roma, quella che conosco, cresciuta a dismisura, ingestibile, troppo grande da scrutare tutta, ogni giorno più povera e malmessa, nervosa e arrabbiata, un corpo che rumoreggia tanto e che naturalmente comunica poco. Vedendo il mondo di Califano, la sua gente sotto la grandine, mi sembra però di scorgerne un’anima, un volto con cui è possibile cercare un confronto. P.S E se Califano fosse cresciuto per i vicoli di Napoli e avesse avuto a disposizione un’altra lingua, cosa avrebbe cantato?
«Fútbol y Patria». «Peronistas, Populistas y Plebeyos». «Historia mínima del fútbol en América Latina». Questi sono solo tre titoli di una ricca produzione saggistica fatta di cronache politico-culturali e indagini sociologiche e letterarie. Chi vuole sapere di calcio e cultura popolare sudamericana deve passare per gli scritti di Pablo Alabarces e capirà qualcosa di cantanti mitologici come Palito Ortega, rock, tifoserie, sistema mediatico, violenza da stadio. Sociologo, argentino classe 1961, Alabarces è titolare di cattedra presso la UBA, l’Università di Buenos Aires. Lo incontriamo a Roma, zona Stazione Termini. Pablo è da poco rientrato nella capitale al termine di un bel soggiorno in una Napoli ebbra di festa per lo scudetto e dopo aver visitato Viggianello, borgo della Basilicata ai piedi del Pollino. «È la quinta volta che sono in Italia. Non ero mai stato nel paese dove nel 1882 nacque Antonio Carmelo Oliveto, mio nonno materno», ci racconta mentre ci incamminiamo verso Piazza
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