Passa ai contenuti principali

Semiologia per il gol di Insigne

Il gol di Insigne unisce i due codici di Pasolini: è sia calcio in poesia sia in prosa

Di fronte alla bellezza del gol di Insigne e al suo assist per la rete di Hamsik, ci tocca scomodare Pier Paolo Pasolini e le sue parole sul «foot-ball». E per fortuna, non dovremo usare quell’aggettivo derivato dal suo cognome, tanto abusato quanto anestetizzato. Basterà mescolare il suo verbo sulla «semiologia per il goal», e le sue categorie datate 1971 di «calcio in prosa (calcio europeo)» e «calcio in poesia (calcio latino-americano)».

Ragioniamo su cosa scrisse il poeta di Casarsa. Se i «fonemi» sono «le unità minime» della lingua scritto-parlata, l’unità minima della lingua del calcio è «un uomo che usa i piedi per calciare un pallone», che prenderà il nome di «podema». La combinazione dei «podemi» dà vita alle «parole calcistiche», il cui insieme «forma un discorso, regolato da vere e proprie norme sintattiche». I «podemi», secondo regolamento, sono ventidue e le «parole calcistiche» sono infinite perché le possibilità di passaggio, di circolazione della palla tra i calciatori sono infinite. La sintassi sta nella partita, che è «un vero e proprio discorso drammatico». I calciatori sono i «cifratori», le persone sugli spalti, davanti a uno schermo o magari con le orecchie alla radio i «decifratori». A unire calciatori e pubblico è la condivisione di un codice comune. Quindi le parole del calcio sono «i passaggi», l’insieme dei passaggi è «il senso del discorso». A questo punto del suo ragionamento, ricordando l’inevitabile slittamento del calcio da «puramente strumentale» a «espressivo», Pasolini distingueva, nella lingua del «foot-ball», dei sotto-codici: «il calcio in prosa» e «il calcio in poesia». Non una «distinzione di valore», ma «una distinzione puramente tecnica». Tra i prosatori c’erano Bulgarelli, Rivera, Mazzola. Tra i poeti Corso e Riva. Ma nel linguaggio calcistico, il momento «esclusivamente» poetico era ed è uno e uno solo: «il goal». Per Pasolini era sinonimo di «invenzione», «sovversione del codice», «ineluttabilità», «folgorazione», «stupore», «irreversibilità», al pari della «parola poetica». E poetici erano anche i «momenti individualistici»: il «passaggio ispirato» e soprattutto il «dribbling», ma non in maniera assoluta, sciolta da vincoli come il gol. E «sublime» sarebbe solo la combinazione dribbling-gol, ovvero «partire da metà campo, dribblare tutti e segnare». Un momento di piacere eccelso che Pasolini non visse (ahi lui) ai mondiali messicani del 1986, e che dovette accontentarsi di vedere realizzato, «a livello brado» ma «perfettamente onirico» da Franco Franchi nel film I due maghi del pallone. Potenza del cinema.

Al gol di Insigne di ieri contro il Torino, spettano tutte le categorie poetiche individuate da Pasolini. Ma non è un gol «sublime» perché non è frutto di una concomitanza dribbling-gol. È figlio di un calcio in prosa, «basato sulla sintassi», «sul gioco collettivo e organizzato», in cui Pasolini vedeva la poesia nel contropiede «con l’annesso goal». Ma qui non c’è stato gioco di rimessa, ma un rapido avvicinamento all’area avversaria «fondato da una serie di passaggi “geometrici” eseguiti secondo le regole del codice» che hanno portato alla «conclusione» Insigne, che ha battuto il portiere avversario con un pallonetto da «poeta realistico». Ma il gol di Insigne è anche un gol da «calcio in poesia». Non perché figlio di «una capacità mostruosa di dribblare» (proprio lui che di dribbling potrebbe perire), ma perché in quel sistema lì, il poetico di ispirazione latino-americana, «il goal può essere inventato da chiunque e da qualunque posizione».


Commenti

Post popolari in questo blog

Napoli, Baires: Maradonologia. Una bella chiacchierata con Pablo Alabarces

«Fútbol y Patria». «Peronistas, Populistas y Plebeyos». «Historia mínima del fútbol en América Latina». Questi sono solo tre titoli di una ricca produzione saggistica fatta di cronache politico-culturali e indagini sociologiche e letterarie. Chi vuole sapere di calcio e cultura popolare sudamericana deve passare per gli scritti di Pablo Alabarces e capirà qualcosa di cantanti mitologici come Palito Ortega, rock, tifoserie, sistema mediatico, violenza da stadio. Sociologo, argentino classe 1961, Alabarces è titolare di cattedra presso la UBA, l’Università di Buenos Aires. Lo incontriamo a Roma, zona Stazione Termini. Pablo è da poco rientrato nella capitale al termine di un bel soggiorno in una Napoli ebbra di festa per lo scudetto e dopo aver visitato Viggianello, borgo della Basilicata ai piedi del Pollino. «È la quinta volta che sono in Italia. Non ero mai stato nel paese dove nel 1882 nacque Antonio Carmelo Oliveto, mio nonno materno», ci racconta mentre ci incamminiamo verso Piazza

Remo Rapino, un undici fantastico e fantasioso

La storia del calcio è fatta anche di formazioni recitate tutte d’un fiato. Dal glorioso e drammatico incipit Bacigalupo-Ballarin-Maroso del Grande Torino al Zoff-Gentile-Cabrini – buono per la Juve di stampo trapattoniano e per l’Italia di Spagna ’82 – passando per il Sarti-Burgnich-Facchetti della Grande Inter del mago Herrera. Se, citando Eduardo Galeano oltre ad essere mendicanti di buon calcio, lo fossimo anche di letteratura ci sarebbe un nuovo undici da imparare a memoria. Un undici fantastico e fantasioso agli ordini dell’allenatore-partigiano Oliviero che fa così: Milo, Glauco, Osso Nilton, Treccani, Giuseppe, Wagner, Berto Dylan, Efrem Giresse, Pablo, Baffino, Nadir. Una squadra-romanzo piena del sapore della vita, che si confessa in prima persona. A immaginarla in Fubbàll (Minimum Fax, pp. 148, 16 euro) è stato Remo Rapino (1951), insegnante di storia e filosofia di stanza nell’abruzzese Lanciano e già premio Campiello 2020 con Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio . 

Farsi una foto con Dios. L'intervista al fotografo Carlo Rainone

Sette anni fa Carlo Rainone (Palma Campania, 1989), fotografo-documentarista con un curriculum fatto di studi e collaborazioni internazionali, decide di scavare nel ventre della Napoli degli anni ’80, quelli, non solo, del dopo-terremoto, delle guerre di camorra e del contrabbando. Un immaginario che il cinema di questi anni sta riportando in superficie, dal Sorrentino di È stata la mano di Dio al Mixed by Erri di Sidney Sibilia senza dimenticare il Piano piano di Nicola Prosatore. L’obiettivo dell’indagine è assoluto, laborioso e faticoso ma il confronto costante con il fotografo Michel Campeau è di grande supporto. Bisogna infatti scovare la «foto con Maradona», il re della Napoli calcistica per sette tortuosi anni, il patrono pagano della moderna Partenope. Rainone inizia ad inseguire fotografie già scattate. Icone conservate in album di famiglia o piegate in portafogli, appese sui muri di negozi e laboratori, case, pizzerie e ristoranti. La consapevolezza sta tutta nelle parole