Passa ai contenuti principali

A proposito del film-Tv "Felicia Impastato"

Ieri sera il film-Tv "Felicia Impastato" (Rai Uno). Un prodotto che inquadra un momento importante della storia di Peppino: la battaglia per la verità sulla sua morte. Il regista Gianfranco Albano lo ha fatto attraverso il coraggio di sua madre (interpretata da Lunetta Savino), di suo fratello e dei suoi compagni di lotta. L'inizio è interessante. La voce radiofonica di Peppino come colonna sonora per riprendere un tema caro legato alla rappresentazione cinematografica della mafia: i paesini siciliani come villaggi western in cui domina la paura. Nel suo complesso artistico però, non l'ho trovata un'opera degna di nota, ovvero capace di restituirci la complessità di quanto accaduto a partire dal 10 maggio del 1978. Passaggi troppo rapidi, poco problematizzati. Il film accenna mille temi, situazioni, personaggi, passioni, battaglie, ma non ce li spiega mai fino in fondo. Forse, sarebbe troppo chiedere alla Rai di restituirci il pensiero che ha animato i compagni di Peppino, ovvero fare controinformazione, porsi di fronte agli eventi in alternativa alla verità di un certo tipo di Stato negli anni della strategia della tensione? Perché non si accetta la verità iniziale? Da dove nasce la contrapposizione? Basta dire che era un militante di Democrazia Proletaria, che la sua morte coincide con quella di Aldo Moro e che suo padre, mafioso, lo cacciava fuori di casa, per via di una "guerra fredda" intra moenia? Questo il film non ce lo spiega. Albano fa altre scelte, inserendo nella narrazione, tra gli altri, personaggi "morituri", destinati alla morte violenta: Mario Francese (giornalista ucciso dalla mafia nel 1979), il giudice Chinnici (morto nel 1983), Pippo Fava attraverso la sua rivista "I Siciliani" (Fava sarà ucciso nel 1984). Soprattutto nella seconda parte, assistiamo a una corsa contro il tempo televisivo, una processione eccessivamente didascalica e affannosa che ci conduca verso la verità: Impastato non è morto suicida. Una verità non certo rivoluzionaria in questo momento storico, ma un fatto condiviso, anche grazie alla forza emozionale del film I cento passi. Personalmente, ciò che mi ha fatto piacere è l'attenzione data dagli autori alla figura di Umberto Santino, il fondatore (eravamo nel 1977) del Centro di Documentazione sulla mafia che dopo la morte di Peppino prenderà il suo nome per volere suo e di Anna Puglisi. Un modo per rimarcare quanto sia stato importante il contributo dei suoi compagni nella ricerca della verità. Un luogo, il "Csd Giuseppe Impastato" attualmente impegnato per la realizzazione del "Memoriale laboratorio della lotta alla mafia". Il 29 dicembre 2015, la Giunta Comunale di Palermo ne ha deliberato la creazione. Ci auguriamo che questo luogo veda presto la luce.

Commenti

Post popolari in questo blog

Napoli, Baires: Maradonologia. Una bella chiacchierata con Pablo Alabarces

«Fútbol y Patria». «Peronistas, Populistas y Plebeyos». «Historia mínima del fútbol en América Latina». Questi sono solo tre titoli di una ricca produzione saggistica fatta di cronache politico-culturali e indagini sociologiche e letterarie. Chi vuole sapere di calcio e cultura popolare sudamericana deve passare per gli scritti di Pablo Alabarces e capirà qualcosa di cantanti mitologici come Palito Ortega, rock, tifoserie, sistema mediatico, violenza da stadio. Sociologo, argentino classe 1961, Alabarces è titolare di cattedra presso la UBA, l’Università di Buenos Aires. Lo incontriamo a Roma, zona Stazione Termini. Pablo è da poco rientrato nella capitale al termine di un bel soggiorno in una Napoli ebbra di festa per lo scudetto e dopo aver visitato Viggianello, borgo della Basilicata ai piedi del Pollino. «È la quinta volta che sono in Italia. Non ero mai stato nel paese dove nel 1882 nacque Antonio Carmelo Oliveto, mio nonno materno», ci racconta mentre ci incamminiamo verso Piazza

Remo Rapino, un undici fantastico e fantasioso

La storia del calcio è fatta anche di formazioni recitate tutte d’un fiato. Dal glorioso e drammatico incipit Bacigalupo-Ballarin-Maroso del Grande Torino al Zoff-Gentile-Cabrini – buono per la Juve di stampo trapattoniano e per l’Italia di Spagna ’82 – passando per il Sarti-Burgnich-Facchetti della Grande Inter del mago Herrera. Se, citando Eduardo Galeano oltre ad essere mendicanti di buon calcio, lo fossimo anche di letteratura ci sarebbe un nuovo undici da imparare a memoria. Un undici fantastico e fantasioso agli ordini dell’allenatore-partigiano Oliviero che fa così: Milo, Glauco, Osso Nilton, Treccani, Giuseppe, Wagner, Berto Dylan, Efrem Giresse, Pablo, Baffino, Nadir. Una squadra-romanzo piena del sapore della vita, che si confessa in prima persona. A immaginarla in Fubbàll (Minimum Fax, pp. 148, 16 euro) è stato Remo Rapino (1951), insegnante di storia e filosofia di stanza nell’abruzzese Lanciano e già premio Campiello 2020 con Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio . 

Farsi una foto con Dios. L'intervista al fotografo Carlo Rainone

Sette anni fa Carlo Rainone (Palma Campania, 1989), fotografo-documentarista con un curriculum fatto di studi e collaborazioni internazionali, decide di scavare nel ventre della Napoli degli anni ’80, quelli, non solo, del dopo-terremoto, delle guerre di camorra e del contrabbando. Un immaginario che il cinema di questi anni sta riportando in superficie, dal Sorrentino di È stata la mano di Dio al Mixed by Erri di Sidney Sibilia senza dimenticare il Piano piano di Nicola Prosatore. L’obiettivo dell’indagine è assoluto, laborioso e faticoso ma il confronto costante con il fotografo Michel Campeau è di grande supporto. Bisogna infatti scovare la «foto con Maradona», il re della Napoli calcistica per sette tortuosi anni, il patrono pagano della moderna Partenope. Rainone inizia ad inseguire fotografie già scattate. Icone conservate in album di famiglia o piegate in portafogli, appese sui muri di negozi e laboratori, case, pizzerie e ristoranti. La consapevolezza sta tutta nelle parole