"La mia abilità di pugile, innamorato della fantasia, che condiziona l’avversario più con gli atteggiamenti irridenti che con la volontà di fargli male, non sarebbe servito a niente se io non avessi capito che dovevo utilizzare i media, invece di farmi usare. E se veramente avessi voluto far emergere il mio disagio, la protesta, il dolore, l’orgoglio degli afroamericani, dovevo utilizzare quei microfoni che mi buttavate davanti alla bocca dopo le vittorie. Dovevo sputare le mie sentenze, le mie sfide esasperate sui vostri taccuini cercando di precedere le vostre domande, imponendo i miei argomenti ai vostri" - Mohammad Alì
«Fútbol y Patria». «Peronistas, Populistas y Plebeyos». «Historia mínima del fútbol en América Latina». Questi sono solo tre titoli di una ricca produzione saggistica fatta di cronache politico-culturali e indagini sociologiche e letterarie. Chi vuole sapere di calcio e cultura popolare sudamericana deve passare per gli scritti di Pablo Alabarces e capirà qualcosa di cantanti mitologici come Palito Ortega, rock, tifoserie, sistema mediatico, violenza da stadio. Sociologo, argentino classe 1961, Alabarces è titolare di cattedra presso la UBA, l’Università di Buenos Aires. Lo incontriamo a Roma, zona Stazione Termini. Pablo è da poco rientrato nella capitale al termine di un bel soggiorno in una Napoli ebbra di festa per lo scudetto e dopo aver visitato Viggianello, borgo della Basilicata ai piedi del Pollino. «È la quinta volta che sono in Italia. Non ero mai stato nel paese dove nel 1882 nacque Antonio Carmelo Oliveto, mio nonno materno», ci racconta mentre ci incamminiamo verso Piazza
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