Nel bel mezzo dell’Italia degli anni ’50, nel tribunale di provincia di «C.», «situato a metà strada tra due grandi città», lavora un giudice che prima di indossare la toga partì volontario per la Seconda guerra mondiale e rientrò in patria nel ’46 dopo un periodo di prigionia in Texas. La città cosparsa di bombe che lo vede «sacerdote» della giustizia è Cassino, fornace ardente nei giorni di guerra e ancora oggi crocevia fra Napoli e Roma. Il giudice si chiama Dante Troisi, era nato a Tufo (Avellino) nel 1920 e nella da poco sorta Repubblica italiana, pratica anche il mestiere della scrittura. Nel 1955, pubblica per Einaudi, nella collana I gettoni di Elio Vittorini, Diario di un giudice , l’autocronaca di un «uomo oppresso dalla solitudine cui lo costringe l’esercizio stesso della sua professione». Il libro sarà un successo diventando allo stesso tempo, per Troisi, un corpo di reato per aver compromesso, secondo l’art. 18 della Legge sulle guarentigie della magistratura, «il prestig...