Quando gli schermi italiani accolgono un film che racconta in chiave ironico-satirico-grottesca l'universo di Cosa Nostra, si grida spesso al miracolo. All'evento senza precedenti. Alla sfida che il mondo della cultura lancia al codice culturale mafioso. Da un lato vi sono ragioni di economia linguistica applicata al linguaggio giornalistico. Dall'altro il desiderio di riaffermare quel principio etico e morale che ha segnato la vita di Peppino Impastato: della mafia e dei mafiosi si deve ridere. Negli ultimi trent'anni del nostro cinema, a guadagnare l'attenzione su questo fronte sono stati Roberto Benigni con la commedia degli equivoci Johnny Stecchino (1991), Roberta Torre con il musical etno-antropologico Tano da morire (1997), le ciniche opere di Franco Maresco in coppia con Daniele Ciprì o al comando solitario di una macchina da presa predicante eresia, l'umorismo post-ideologico di Pif disegnato ne La mafia uccide solo d'estate , prima film (2013) e ...