Quando gli schermi italiani accolgono un film che racconta in chiave ironico-satirico-grottesca l'universo di Cosa Nostra, si grida spesso al miracolo. All'evento senza precedenti. Alla sfida che il mondo della cultura lancia al codice culturale mafioso. Da un lato vi sono ragioni di economia linguistica applicata al linguaggio giornalistico. Dall'altro il desiderio di riaffermare quel principio etico e morale che ha segnato la vita di Peppino Impastato: della mafia e dei mafiosi si deve ridere. Negli ultimi trent'anni del nostro cinema, a guadagnare l'attenzione su questo fronte sono stati Roberto Benigni con la commedia degli equivoci Johnny Stecchino (1991), Roberta Torre con il musical etno-antropologico Tano da morire (1997), le ciniche opere di Franco Maresco in coppia con Daniele Ciprì o al comando solitario di una macchina da presa predicante eresia, l'umorismo post-ideologico di Pif disegnato ne La mafia uccide solo d'estate, prima film (2013) e poi serie Rai (2016).
Ma questa relazione tra il cinema comico e il racconto pubblico di Cosa nostra la possiamo far risalire ai primi anni '60, mentre Leonardo Sciascia raccontava dello scontro fra il capitano Bellodi e don Mariano ne Il giorno della civetta (1961), nasceva la Commissione parlamentare antimafia (1962), il cinema d'autore regalava opere imperiture come Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, Un uomo da bruciare dei fratelli Taviani e Valentino Orsini, Mafioso di Alberto Lattuada (1962), a Ciaculli un'autobomba uccideva sette uomini dello Stato (1963).
Era infatti il 30 marzo del 1961, tredici giorni dopo il centesimo compleanno dell'Italia unita, quando nelle sale cinematografiche della penisola usciva il primo film che raccontava la mafia siciliana con tono buffo. Si intitolava L'onorata società. La regia era dell'esordiente Riccardo Pazzaglia, scrittore, uomo di teatro, radio, tv (indimenticabile la sua presenza nell'arboriano Quelli della notte) e paroliere di grandi successi cantati da Domenico Modugno (Lazzarella, Io, mammeta e tu, 'O ccafè). Ed è proprio a Mister Volare, in quegli anni attore per il cinema ma soprattutto conquistatore di due Sanremo, che dobbiamo la nascita di questa opera, di cui sarà produttore, autore delle musiche, attore. Ma il suo contributo al cinema italiano non finisce qui. Modugno è anche, insieme al regista Mario Mattòli, lo scopritore degli attori principali del film, un duo comico che negli anni a venire "inguaierà" (per citare Ciprì e Maresco) il nostro universo in celluloide. L'onorata società vedrà, infatti, per la prima volta sul grande schermo, con un ruolo da protagonisti, Francesco Benenato e Francesco Ingrassia. "I due neo comici sono tipi dalla vis comica piuttosto singolare, tali, comunque, da allargare con autorità la ristretta cerchia degli attori comici del nostro cinema", scriverà la Rivista del Cinematografo. Da quel momento in poi, il pubblico italiano stringerà un patto di ferro con i loro volti e i loro corpi. Nasceranno Franco-e-Ciccio.
"La lavorazione de L'onorata società durò quarantacinque giorni. Prendemmo trecentomila lire che, divisi in due, divennero centocinquanta. A conti fatti, l'umile teatro di rivista con tutti i suoi stracci, le ballerine sfiorite, i vecchi professori d'orchestra ci aveva pagato molto di più. Ma il cinema fu come una febbre", racconterà Franco. "Dopo quel film cominciarono improvvisamente ad accadere cose fantastiche. La gente ci riconosceva per strada, i bambini si mettevano a ridere, taluni ci salutavano, allo stadio ci battevano le mani". In quegli anni Sessanta, il film diretto da Pazzaglia non rappresenterà per il duo un caso isolato di pellicole in chiave ridicola su Cosa nostra. Arriveranno, tutti diretti da Giorgio Simonelli, I due mafiosi, Due mafiosi nel Far West, Due mafiosi contro Goldginger e Due mafiosi contro Al Capone.
Ma sono le peripezie di Saruzzo Messina (Franco) e Rosalino Trapani (Ciccio), due giovanotti siciliani alle prese con la sentenza di morte emessa dal tribunale dell'Onorata società che disegneranno un nuovo modo di raccontare la mafia. Ad arricchire il cast del film ci saranno Vittorio De Sica nel ruolo di "Capintesta", Gino Buzzanca, mafioso-borghese che commercia arance con l'Inghilterra e Rosanna Schiaffino, neosposa in attesa di consumare la prima notte di nozze dopo che suo marito (Modugno) si è rotto la gamba inciampando nel suo abito bianco il giorno del matrimonio.
La narrazione si apre e si chiude in una Sicilia arcaica e feudale, mentre gran parte dell'avventurosa storia di Saruzzo e Rosalino prende forma in una Roma che profuma lontanamente di "dolce vita". I temi sono quelli dell'onore e del disonore, della seduzione e dell'abbandono, dell'arcaismo "meridionale" e della contemporaneità "continentale". Il film si apre con il cartello "Questo film è un documento e un'accusa" e a scandire la narrazione vi è la voce di Modugno che intona la canzone Mafia, tenebrosa descrizione del viaggio di cinque cavalieri armati di lupara "fino a lu continenti" per portarvi "l'onorata società". La narrazione siciliana è fatta di momenti di festa mescolati ad atmosfere funebri, ribaltamento dell'iconografia stereotipata del mafioso, (ri)utilizzo di elementi della religiosità cristiana. Tutti tòpoi cari al mafia movie declinato secondo gli stilemi del grottesco. Elementi raccontati in modo tragicomico e ridicolizzante. E sarà proprio l'assurdità dell'agire mafioso, messo in scacco da un colpo di genio di Franco, che permetterà ai due protagonisti di sfuggire alla pena di morte, regalando allo spettatore il lieto fine.
*L'articolo è stato pubblicato su La Repubblica-Edizione Palermo il 15 aprile 2021.
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