Sono giorni che ho un terribile mal di orecchie. Anzi di orecchio. E' l'orecchio sinistro che sento fuori uso. Il mio allegro medico di base non ha voluto neanche visitarmi. "L'orecchio è una cosa delicata. Vada dall'otorino. Com'è il suo nome?". Tre quarti d'ora di fila fra vecchi che sventolavano fogli di carta per sopperire al caldo per avere una ricetta e sentirmi dire che è meglio andare da un otorino. Credo di avere un tappo di cerume. Son 2-3 giorni che metto della cerulisina, ma la situazione non sembra migliorare. Sento solo un fischio sottile e fastidioso che mi provoca anche del mal di testa. Tra un mesetto ormai compirò trent'anni e spero di non arrivare a quel fatidico giorno con questo mal di orecchie, altrimenti non avrò voglia di rispondere a tutte le telefonate di parenti e amici che saluteranno con entusiasmo il traguardo raggiunto. Ma credo che quel giorno spegnerò il telefono. Non avrò voglia di sentire nessuno. Con o senza mal d'orecchie.
«Fútbol y Patria». «Peronistas, Populistas y Plebeyos». «Historia mínima del fútbol en América Latina». Questi sono solo tre titoli di una ricca produzione saggistica fatta di cronache politico-culturali e indagini sociologiche e letterarie. Chi vuole sapere di calcio e cultura popolare sudamericana deve passare per gli scritti di Pablo Alabarces e capirà qualcosa di cantanti mitologici come Palito Ortega, rock, tifoserie, sistema mediatico, violenza da stadio. Sociologo, argentino classe 1961, Alabarces è titolare di cattedra presso la UBA, l’Università di Buenos Aires. Lo incontriamo a Roma, zona Stazione Termini. Pablo è da poco rientrato nella capitale al termine di un bel soggiorno in una Napoli ebbra di festa per lo scudetto e dopo aver visitato Viggianello, borgo della Basilicata ai piedi del Pollino. «È la quinta volta che sono in Italia. Non ero mai stato nel paese dove nel 1882 nacque Antonio Carmelo Oliveto, mio nonno materno», ci racconta mentre ci incamminiamo verso Piazza
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