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Farsi una foto con Dios. L'intervista al fotografo Carlo Rainone


Sette anni fa Carlo Rainone (Palma Campania, 1989), fotografo-documentarista con un curriculum fatto di studi e collaborazioni internazionali, decide di scavare nel ventre della Napoli degli anni ’80, quelli, non solo, del dopo-terremoto, delle guerre di camorra e del contrabbando. Un immaginario che il cinema di questi anni sta riportando in superficie, dal Sorrentino di È stata la mano di Dio al Mixed by Erri di Sidney Sibilia senza dimenticare il Piano piano di Nicola Prosatore. L’obiettivo dell’indagine è assoluto, laborioso e faticoso ma il confronto costante con il fotografo Michel Campeau è di grande supporto. Bisogna infatti scovare la «foto con Maradona», il re della Napoli calcistica per sette tortuosi anni, il patrono pagano della moderna Partenope. Rainone inizia ad inseguire fotografie già scattate. Icone conservate in album di famiglia o piegate in portafogli, appese sui muri di negozi e laboratori, case, pizzerie e ristoranti. La consapevolezza sta tutta nelle parole di Susan Sontag: «Le fotografie sono oggetti fragili, che si rompono o si smarriscono con facilità». Da questa attività di ricerca nasce La foto con Dios. Napoli 1984-1991 (Il Saggiatore, pp. 136, euro 29). Un libro-album di centoventi immagini i cui titoli e didascalie denominano, definiscono, spiegano. Raccontando.

Carlo, come hai mosso i primi passi di questa avventura da fotografo-ricercatore?

Nel 2017 stavo lavorando a un progetto fotografico sui Napoli club della Campania. Nel frattempo, volevo lavorare anche sul materiale d’archivio, per indagare gli anni in cui Maradona aveva giocato nel Napoli. Un’epoca a cui ho sempre guardato con fascinazione. La scintilla è scattata quando ho incontrato Alberto Petillo, un tifoso del Napoli che mi ha aperto il suo archivio. Lì c’era una foto di Maradona con una giapponese in kimono di nome Michiho Ando. Michiho si innamorò di Diego guardando in Tv i mondiali del 1986 e decise di venire a Napoli per farsi una foto con il suo idolo. Vedendo quell’immagine ho intuito che nelle case dei napoletani poteva nascondersi un tesoro immenso che rispondeva a una nuova categoria iconografica: la foto con Diego, la foto con Dios.

La ricerca come si è strutturata?

Ho messo annunci sui social e sui giornali. Ho fatto volantinaggio quartiere per quartiere. Una volta trovato un indizio o la traccia di una foto, la cosa più complicata era guadagnare la fiducia del possessore incontrandolo, spiegando il progetto del libro, facendomi raccontare la storia della foto e recuperando in qualche modo quell’oggetto-reliquia. L’opzione «prestito» non era immaginabile.

Come diventava «tua» la foto?

Ho messo in atto un servizio di scansione a domicilio. In alcuni casi ho dovuto invece rifotografare la foto per strada, dove avvenivano gli incontri. E poi viaggiavo sempre con un pacchetto di liberatorie per la questione diritti.

Il Diego che hai riportato in superficie rischiava di essere un Maradona perduto?

Questo lavoro ha salvato e dato una nuova connotazione a delle immagini che nascevano con l’intento primario di custodire, a uso personale e familiare, la foto con quella sorta di «sacra sindone» che era Maradona. Di certo, la gran massa di foto visionate e raccolte oggi è un documento storico che abbiamo reso pubblico e che rende visibile la connessione tra Diego e i napoletani. Una connessione che non immaginavo così forte.

Come si compiva questo rito fotografico in un’epoca pre-digitale?

Per fare «quella foto», oltre ai contatti giusti per arrivare a Diego, era necessario avere con sé l’attrezzatura ed essere dotati di una capacità tecnico-fotografica non scontata. Ho incontrato tante persone che lo hanno conosciuto ma non hanno una foto con lui perché non pronti a fare click. Ogni foto nasconde una volontà forte di farsi uno scatto con Diego che si compiva soltanto attraverso una fase preparatoria forte e meticolosa. Ogni foto è un rituale. Di momenti rubati non ce ne sono.

Ci racconti un aneddoto?

Nel luglio del 1986 tre amici di Gragnano decisero di andare a Lodrone, in Trentino, dove il Napoli era in ritiro. L’obiettivo era «la foto». Prima di partire emerse il problema dei problemi: «Se incontrassimo Diego, a chi di noi tre toccherebbe scattare?». La soluzione fu portare con sé un amico fotografo a cui pagarono viaggio, vitto e alloggio.

Quali sono i momenti, i luoghi e i personaggi più ricorrenti di questa tua galleria fotografica?

Senza dubbio il Centro Sportivo Paradiso, dove il Napoli si allenava e dove i tifosi sapevano di poterlo incontrare. Poi, le inaugurazioni dei Napoli club e dei negozi in cui la sua presenza rappresentava una specie di buon auspicio di successo. Infine, quelle in cui entrava in situazioni private: compleanni, battesimi, comunioni.

Com’è stato organizzato nel volume il racconto di queste icone?

L’universo iconografico ruota attorno ad un’unica persona, con un volto che si ripropone e che categorizza gli scatti: la foto con Maradona. Ci siamo lasciati quindi guidare da un gusto estetico che desse un senso di linearità e di scorrevolezza senza tenere conto di cronologia ed elementi narrativi interni alle immagini.

Come definiresti lo sguardo che attraversa il libro?

Benevolo. Quello di Diego è uno sguardo che testimonia una affettuosità spontanea. Maradona è sempre molto cosciente di ciò che accade attorno a lui perché si prestava a questi riti fatti di incontri e di fotografie. Lo si vede soprattutto nelle foto con i bambini. Non a caso, una delle ossessioni che mi ha accompagnato era la foto dell’unico battesimo in cui Diego ha fatto da padrino. Ho immaginato questa foto per anni e alla fine ce l’abbiamo fatta.

Quando si parla di fotografia, il concetto di fuori campo non può essere tenuto in disparte. Cosa hai visto e non sei riuscito a mettere nel volume?

Tante foto in bassa qualità purtroppo inutilizzabili. Dopo l’uscita del libro, ho invece ricevuto una foto via mail per conto del maestro Carmine Coppola, ultimo erede della maschera di Pulcinella. Siamo negli spogliatoi dell’allora San Paolo e vediamo Coppola insieme a Maradona che nelle mani ha una foto e, ovviamente, una maschera di Pulcinella. La ricerca continua.

*L'articolo è stato pubblicato su Il Manifesto-Alias il 29 luglio 2023.

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