Era il 9 maggio del 1978 e a Cinisi, paesino alle porte di Palermo, lungo i binari di una ferrovia veniva ritrovato il corpo irriconoscibile e ridotto in mille pezzi di un giovane attivista politico candidato alle elezioni comunali. Si chiamava Giuseppe, per tutti Peppino e il suo nome era inserito nelle liste di Democrazia Proletaria (DP). Cinisi era la roccaforte del boss Gaetano (Tano) Badalamenti. La famiglia di Peppino non era una famiglia mafiosa tout court, ma suo padre Luigi amava circondarsi di uomini d'onore e quel figlio rivoluzionario e comunista era una vergogna da nascondere. Lo zio di Peppino, Cesare Manzella, era invece un mafioso che tanti anni prima era stato fatto saltare in aria con una carica di tritolo nella sua auto. Le indagini dei carabinieri batterono subito la pista dell'attentatore sfortunato. Peppino era un comunista rivoluzionario, un terrorista che voleva mettere una bomba sui binari, ma gli era andata male. Era saltato in aria come Giangiacomo Feltrinelli. Ma a casa sua trovarono un biglietto che recitava: "Voglio abbandonare la politica e la vita". Ecco, la prova del suicidio c'era. Il caso poteva chiudersi lì. Invece Peppino era stato ucciso dalla mafia di Cinisi. Il suo impegno politico colorito e ficcante, capace di smascherare i mafiosi e i politici corrotti e collusi gli era costato la vita. Peppino era figlio dei suoi tempi. Sentiva e respirava quello che accadeva nel mondo. Era intriso di cultura libertaria, antiautoritaria, creativa, ma il tutto si traduceva in un impegno serio e concreto in terra di mafia e in una famiglia di cultura mafiosa. Una rivoluzione culturale audacissima.
Questa estate a Cinisi ho conosciuto il fratello di Peppino, Giovanni Impastato e sua moglie Felicia. Sono due persone dolcissime. Sui loro volti si legge allo stesso il dolore per la morte di Peppino e la gioia di vivere. Giovanni accoglie tutti coloro che vogliono andare a Cinisi a rendere omaggio a Peppino. La casa della famiglia Impastato è oggi un luogo di memoria che tutti possono visitare. Fino a qualche anno fa vi viveva ancora la mamma Felicia Bartolotta, donna analfabeta che ha combattuto gli ultimi anni della sua vita per stabilire la verità sulla morte di suo figlio. E' andata in tribunale e senza paura ha indicato in Tano Badalamenti il mandante di quell'omicidio. Con il suo coraggio e la sua determinazione è riuscita a stabilire la verità. Peppino non si suicidò. Peppino non stava preparando un attentato. Peppino fu prima ucciso, il suo corpo fu adagiato sui binari delle ferrovia e fatto saltare in aria. Pochi giorni dopo quella tragica morte, Peppino fu eletto in consiglio comunale da morto.
Giovanni dice che in questi anni il suo obiettivo è stato costruire la memoria di suo fratello. Lo Stato ricorda (siuramente celebra) i carabinieri, poliziotti, uomini di scorta, giudici che le mafia o il terrorismo uccide. Ma chi dovrebbe ricordarsi di Peppino Impastato, animatore di un circolo culturale, conduttore di una trasmissione radiofonica, candidato alle elezioni di un paesino siciliano che la mafia ha ucciso simulando un suicidio-attentato?
Questa è stata la sfida di Giovanni Impastato, di sua moglie Felicia e di sua madre Felicia Bartolotta. Riuscire a costruire giorno per giorno la memoria di suo fratello, "un nuddu miscato cù niente".
www.associazionepasolini.org
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