Articolo pubblicato su www.articolo21.org
I Quartieri Spagnoli di Napoli, Casalnuovo, Ottaviano, San Cipriano d’Aversa, Sessa Aurunca, Castel Volturno. Un elenco di luoghi di cui i media ci restituiscono solo un'immagine dolente, temibile e insanguinata. Realtà in cui i taccuini dei giornalisti e le telecamere delle tv giungono quando i morti superano il livello di tollerabilità del silenzio. Luoghi simbolo della sconfitta quotidiana dello Stato e della convivenza democratica, ma da cui oggi provengono messaggi carichi di concreta speranza. È qui che batte il cuore sano ed energico di una società civile che sa essere segno di rottura, che manda robusti segnali di contraddizione innanzitutto a se stessa e che denuncia il potere della camorra. Questi territori sono in questi giorni (24-30 maggio) il teatro del Terzo Festival dell'Impegno Civile - Terre di Don Peppe Diana. Già Don Peppino, il prete "donnaiolo" della parrocchia San Nicola di Casal di Principe, che nel 1991, tre anni prima di essere ucciso da un commando camorrista il 19 marzo del 1994 (il giorno del suo onomastico), aveva scritto che la camorra era «una forma di terrorismo che incute paura e impone le sue leggi» nel documento Per amore del mio popolo non tacerò. Il Festival, organizzato da Libera Caserta e dal Comitato Don Peppe Diana sotto la direzione artistica di Pietro Nardiello, ha un ricco e articolato programma (si va dall'audio documentario Parole fuori dal vulcano trasmesso su Radio Tre Rai, al tributo a Miriam Makeba a Castel Volturno, dal concerto della Band di Don Peppe Diana con Carlo Faiello e la Nuova Compagnia di Canto Popolare al conferimento di premi per la libertà di stampa e per la difesa dell'ambiente) e gode della collaborazione di importanti e autorevoli partner (l'Ente Nazionale Parco Vesuvio, l'Archivio Storico della Canzone Napoletana, Radio Tre Rai, la Fondazione Premio Napoli, la Fondazione Mimmo Beneventano e il Coordinamento Libero Grassi). È un Festival che, svolgendosi interamente in terreni e edifici confiscati dallo Stato alla camorra, strappa ai clan i luoghi e i beni simbolo del loro potere economico e criminale. Andare a discutere di legalità nel Castello Mediceo di Ottaviano, il vecchio quartier generale della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, è atto concreto e simbolico di inestimabile valore. La convinzione che alla forza della camorra e delle organizzazioni criminali di tipo mafioso non ci si possa opporre viene così distorta. La loro invincibilità sviene smitizzata. L'avvenuta riappropriazione e modifica della destinazione d'uso di uno spazio-simbolo del potere criminale è il messaggio che lo Stato con le sue energie e le sue leggi ha gli strumenti per mettere in ginocchio le mafie. Il tabù è rotto e infranto. Il Festival fa luce dove domina l'oscurità e fa sentire una voce di libertà dove domina il silenzio della paura. Il teatro delle sue attività presenti e future sono le Terre di Don Diana, terre immaginarie e concrete in cui il movimento antimafia fa crescere un fiore in ricordo di ogni sua vittima innocente. Avvicinandosi al Festival, si scopre una società civile composita ed eterogenea che di tacere non ne vuol sapere. A tacere colpevolmente è chi su questo popolo sceglie di non puntare riflettori e microfoni.
I Quartieri Spagnoli di Napoli, Casalnuovo, Ottaviano, San Cipriano d’Aversa, Sessa Aurunca, Castel Volturno. Un elenco di luoghi di cui i media ci restituiscono solo un'immagine dolente, temibile e insanguinata. Realtà in cui i taccuini dei giornalisti e le telecamere delle tv giungono quando i morti superano il livello di tollerabilità del silenzio. Luoghi simbolo della sconfitta quotidiana dello Stato e della convivenza democratica, ma da cui oggi provengono messaggi carichi di concreta speranza. È qui che batte il cuore sano ed energico di una società civile che sa essere segno di rottura, che manda robusti segnali di contraddizione innanzitutto a se stessa e che denuncia il potere della camorra. Questi territori sono in questi giorni (24-30 maggio) il teatro del Terzo Festival dell'Impegno Civile - Terre di Don Peppe Diana. Già Don Peppino, il prete "donnaiolo" della parrocchia San Nicola di Casal di Principe, che nel 1991, tre anni prima di essere ucciso da un commando camorrista il 19 marzo del 1994 (il giorno del suo onomastico), aveva scritto che la camorra era «una forma di terrorismo che incute paura e impone le sue leggi» nel documento Per amore del mio popolo non tacerò. Il Festival, organizzato da Libera Caserta e dal Comitato Don Peppe Diana sotto la direzione artistica di Pietro Nardiello, ha un ricco e articolato programma (si va dall'audio documentario Parole fuori dal vulcano trasmesso su Radio Tre Rai, al tributo a Miriam Makeba a Castel Volturno, dal concerto della Band di Don Peppe Diana con Carlo Faiello e la Nuova Compagnia di Canto Popolare al conferimento di premi per la libertà di stampa e per la difesa dell'ambiente) e gode della collaborazione di importanti e autorevoli partner (l'Ente Nazionale Parco Vesuvio, l'Archivio Storico della Canzone Napoletana, Radio Tre Rai, la Fondazione Premio Napoli, la Fondazione Mimmo Beneventano e il Coordinamento Libero Grassi). È un Festival che, svolgendosi interamente in terreni e edifici confiscati dallo Stato alla camorra, strappa ai clan i luoghi e i beni simbolo del loro potere economico e criminale. Andare a discutere di legalità nel Castello Mediceo di Ottaviano, il vecchio quartier generale della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, è atto concreto e simbolico di inestimabile valore. La convinzione che alla forza della camorra e delle organizzazioni criminali di tipo mafioso non ci si possa opporre viene così distorta. La loro invincibilità sviene smitizzata. L'avvenuta riappropriazione e modifica della destinazione d'uso di uno spazio-simbolo del potere criminale è il messaggio che lo Stato con le sue energie e le sue leggi ha gli strumenti per mettere in ginocchio le mafie. Il tabù è rotto e infranto. Il Festival fa luce dove domina l'oscurità e fa sentire una voce di libertà dove domina il silenzio della paura. Il teatro delle sue attività presenti e future sono le Terre di Don Diana, terre immaginarie e concrete in cui il movimento antimafia fa crescere un fiore in ricordo di ogni sua vittima innocente. Avvicinandosi al Festival, si scopre una società civile composita ed eterogenea che di tacere non ne vuol sapere. A tacere colpevolmente è chi su questo popolo sceglie di non puntare riflettori e microfoni.
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