Qualche anno fa l’attore Marco Baliani portava in scena l’intenso monologo Corpo di Stato. Era un titolo che giocava con una somiglianza verbale con ciò che l’Italia repubblicana aveva rischiato più volte di subire nella sua giovane storia, ovvero un “colpo di Stato”. L’aveva sfiorato più volte e lo aveva sempre evitato. La democrazia insanguinata e boccheggiante aveva resistito lasciando lungo il suo percorso numerosi corpi senza vita. “Corpi di Stato” appunto, che dopo essere stati pensiero e azione in carne e ossa, si erano trasformati in simboli del loro rapporto (anche inconsapevole) con il Potere. Il “corpo di Stato” che Baliani ci raccontava era la sagoma in apparenza sonnecchiante di Aldo Moro nella Renault 4. In vita, quel corpo si era mostrato mite e rassicurante all’opinione pubblica, ma nella democrazia italiana non c’era stato più spazio per la sua azione politica audace e non sopportabile.
Sappiamo che in Italia i “corpi di Stato” sono tanti, tantissimi. Impossibile ricordarli tutti. Oscilliamo continuamente fra il sogno brechtiano di un Paese privo di eroi e un esercizio della memoria quantitativamente faticoso. E ci rendiamo anche conto di come questo elenco di corpi non comprenda sempre eroi da celebrare. Sappiamo solo che, seppur ridotti in polvere, la loro presenza continua ad essere ingombrante, fastidiosa e molesta per la nostra sgangherata democrazia.
Un “corpo di Stato” è tornato a parlare a noi tutti pochi giorni fa. Fu ritrovato senza vita a Castelvetrano il 6 luglio del 1950, nel cortile dell’avvocato Di Maria. Forse è appartenuto al bandito Salvatore Giuliano. Le incessanti ricerche degli storici Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino sulla vita di Giuliano, si sono concretizzate in un esposto alla Procura di Palermo, presentato il 5 maggio 2010. Il giudice Antonio Ingroia ha riscontrato «elementi validi» e ha ordinato la riesumazione della salma. Il 28 ottobre scorso il “corpo di Stato” ha bussato così alle nostre porte.
Quando si incontra il nome di Turiddu Giuliano, il re di Montelepre, da sempre si entra nel terreno del mito e del mistero. Le leggende si consolidano così, mescolando nella loro narrazione elaborazione fantasiose a elementi reali. Ma per Giuliano, ci si è sempre legati saldamente ad un’unica certezza, scolpita nelle celebri parole del giornalista Tommaso Besozzi. Di fronte al “corpo di Stato” pancia in giù, l’inviato de L’Europeo scrisse: «Di sicuro c’è solo che è morto». Quando nel 1961 Francesco Rosi girò Salvatore Giuliano, scelse di tenere il bandito sullo sfondo della narrazione. A venire fuori nella loro forza tragica e dolente, erano la Sicilia (anticipatrice dei destini nazionali) e il cadavere di Turiddu. Il film si apriva con “il corpo di Stato” circondato dai fotografi prima di offrirsi al dolore della madre piangente.
Ora per parlare ancora del «terrorista nero» Salvatore Giuliano (come lo definisce il Prof. Casarrubea), dobbiamo almeno sapere a chi sia appartenuto il “corpo di Stato” che ha riposato nel cimitero di Montelepre. A rappresentarlo sono rimasti uno scheletro intatto e ciocche di capelli, affidati al Prof. Livio Milone, medico legale del Policlinico di Palermo. Al lui toccherà stabilire la verità.
Il giornalista americano Alexander Stille dice che «la Sicilia è un luogo di perenne ambiguità dove apparenza e realtà si confondono e il volto della mafia può nascondersi dietro il volto di avvocati, giudici, imprenditori, sacerdoti, politici. La morte è l’unica verità indiscutibile. Una realtà drammatica e crudele, ma un’ottima chiave per comprendere l’Italia (In un altro Paese, Regia di Marco Turco, 2005)». Per questo il “corpo di Stato” è sempre in mezzo a noi. Per torturarci quotidianamente.
Si consiglia vivamente di visitare il blog del Prof. Giuseppe Casarrubea
http://casarrubea.wordpress.com
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