Molto più interessante fu il dibattito successivo. Pasolini stava sul
palco, avvolto in un cono di luce. Una giacca bianca da cowboy, gli
occhiali scuri, il volto rigato da solchi d'aratro. I suoi interventi
erano accolti con applausi isolati.
Spesso dal silenzio. Un'ostilità gentile. A una domanda stupida, che
voleva essere provocatoria senza riuscirci, cioè quanto il suo cinema
avesse a che fare con la vita (e il sottinteso era poco o niente),
Pasolini rispose affermando un concetto che impressionò Stefano: - Il
cinema è fatto di campo e controcampo: c'è campo quando la telecamera è
rivolta nella stessa direzione degli occhi degli spettatori, controcampo
quando succede l'inverso. Il controcampo, alternato al campo, permette
allo spettatore, per una sensazione fisiologica, di sentirsi nel vivo di
qualcosa -. Lo aveva colpito questa espressione: sentirsi nel vivo di
qualcosa. Per essere nel vivo di qualcosa serviva un punto di vista
alternativo, spiazzante: il controcampo. Stefano si accorse con
disappunto che la sua storia veniva raccontata da un solo punto di
vista. Il proprio. Se considerava vera la definizione del poeta, non era
mai nel vivo di qualcosa. Era separato dalla vita, come una statua di
pietra. Arcaica astorica inutile
Tratto da LA LEGGE DELL'ODIO, Alberto
Garlini - Einaudi, 2012
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