"Viviamo
in un’Italia dove i temi della giustizia, i blitz delle forze
dell’ordine, le inchieste, i processi, gli avvisi di garanzia sono
spesso le uniche notizie della giornata. I palazzi di giustizia da
Milano a Palermo, da Roma a Locri, sembrano diventati le vere centrali
dell’interesse nazionale. Se un giudice si affaccia in televisione,
sfonda il tetto degli ascolti. E dico tutto questo non certo
per sposare la tesi dei giudici invadenti, e della rivoluzione sociale
capitanata dai magistrati. Realisticamente, stiamo percorrendo la via
giudiziaria alle riforme, quanto meno nel senso che i magistrati
sembrano incarnare il simbolo di una neutrale e coraggiosa onestà, e
sono stati finora gli unici in grado di infliggere, pur restando
all’interno delle loro competenze, fieri colpi a un sistema immobile.
Certo, è malinconico, – anche se inevitabile e benvenuto – che sia così.
Ormai si discute a colpi di arma bollata. Una lunga impunità politica,
un’incapacità di riforma del sistema, hanno dato il via libera a uomini
di legge: del resto scelti come protagonisti e vittime dai nemici dello
Stato (…). Non passa giorno che non vi siano (…) una miriade di rinvii a
giudizio, un viavai di documenti con il timbro della cancelleria. Il
destino di alcuni leader, di imprese importanti, di amministratori
pubblici, sembra legato a quei pacchi di carte che i telegiornali ci
mostrano mentre viaggiano da un ufficio all’altro. Ci stiamo abituando a
una quotidianità giudiziaria, carceraria, inquisitoria in senso buono.
(…) L’opera dei magistrati va lodata senza riserve. Ma speriamo in un
futuro ci sia meno bisogno di loro"
15 Gennaio 1993 (Arresto di Totò Riina), Andrea Barbato nella sua trasmissione "Cartoline" così si rivolgeva a Vittorio Sgroi, Procuratore Generale della Cassazione
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