Qualche giorno fa ho visto i quadri di Gaspare
Mutolo, l’autista di Totò Riina. Da anni Mutolo è un collaboratore di
giustizia. Le sue opere sono quasi tutte firmate “Mutolo Gaspare”. Prima
il cognome e poi il nome, come un uomo quando si trova
al cospetto della Legge. Prima il cognome e poi il nome, come in un
interrogatorio. Prima il cognome e poi il nome, quello che sei viene
dopo. Nelle trenta tele esposte - dedicate a quella Palermo e a quella
Sicilia che Mutolo non visita da anni - ho visto un cielo limpido e
sereno e un mare solcato da navi che non conoscono la tempesta. Ho
capito che lo sguardo di Mutolo si ferma al Monte Pellegrino, dominus
della città, meta dei fedeli di Santa Rosalia. Oltre non riesce ad
andare con il suo stile "grezzo, impuro e naturale" (cit. Fulvio
Abbate). Ho visto serenità interiore in quelle tele, anche quando
gigantesche piovre dai neri tentacoli abbracciavano le ordinate e
colorate case palermitane. Quella serenità che ho percepito, non riesco
però ancora a decifrarla.
Sei i protagonisti di una grottesca scena messa su dallo Stato italiano. E' il 16 dicembre del 1969 a Roma, in tribunale. Quattro poliziotti ben vestiti, pettinati e con la barba fatta; un ballerino anarchico, con la barba incolta, stravolto dopo una notte insonne per via di un interrogatorio e un tassista milanese. «L'è lü (E' lui)!», escalama il tassista Cornelio Rolandi. «Ma m'hai guardato bene?», ribatte l'anarchico Pietro Valpreda. «Bè, se non è lui, chi'l gh'è no», si convince il Rolandi. E così il mostro fu sbattuto in prima pagina. Il Rolandi si era presentato dai carabinieri di Milano la mattina del 15 dicembre, mentre si svolgevano i funerali di Piazza Fontana, convinto di aver trasportato sul suo taxi il responsabile della strage alla Banca dell'Agricoltura. La sua macchina era posteggiata a poco più di 100 metri dalla filiale. Un uomo con una valigetta aveva chiesto di portarlo nei pressi della Banca e di aspettarlo lì. Pochi minuti dopo era ...
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