L'account Twitter di Leonardo Bonucci |
Ieri Maurizio Crosetti dedicava su La Repubblica un sentito e a tratti commovente ritratto a Gigi Buffon e Leonardo Bonucci,
freschi di vittoria contro l’Inter nel posticipo domenicale. Da un lato l’imbattibile
portiere bianconero costretto a sporcarsi i guanti a fine partita, dall'altro
il granitico difensore goleador, capace di aprire le marcature a inizio ripresa e accostato poi, nel corso della giornata sui social network, per un oscuro
e incompreso meccanismo di tematizzazione, al premio Oscar Leonardo Di Caprio.
Crosetti racconta la biografia calcistica
di Bonucci con una penna degna di un moderno Edmondo De Amicis, il quale De
Amicis - perdonatemi la digressione - fece
incarnare nel giovane protagonista del libro Cuore, secondo un giovane Umberto Eco, «un ambiguo socialismo
umanitario che precedette il fascismo» (Diario
minimo, 1963).
Bonucci viene definito «un
campione nato buon giocatore normale», se ne sottolinea la capacità
realizzativa fatta di «pochi» ma «bellissimi» gol, si esalta la sua
«autostima», lo si accosta a Beckenbauer («verrebbe voglia di chiamarlo Beckenbonucci»). Manca solo di paragonarlo a Scirea, e la lacrimuccia scorrerebbe di sicuro. Ma il pezzo forte sta nel suo rapporto con il motivatore Alberto
Ferrarini che di certo, ci sembra di capire, non è stato tenero con il giovane
Leo.
Leggiamo un estratto
dell’articolo: «Lo chiudeva in cantina al buio, menandolo e dicendogli:
“Ricordati di quando facevi tribuna a Treviso” (…). E gli faceva masticare
caramelle all’aglio».
Insomma anche Bonucci, come tutti i lavoratori, avrà
avuto dei traumi legati alla sua attività professionale, ma come si suol dire,
nonostante tutto, mi sembra venuto su benissimo.
Ma in questo ritratto di Bonucci,
personalmente, credo che manchi l’elemento che contraddistingue il
difensore bianconero. Il piatto forte, la specialità della casa. Ovvero, l’esultanza
tipica che accompagna i suoi gol. Un modo di festeggiare che il nostro riassume sui social attraverso l’hashtag #sciacquatevilabocca.
La prima volta in cui ricordo di
averlo visto compiere quel gesto risale a Juventus-Roma del 5 ottobre 2014.
Pensavo che avesse a che vedere con la rivalità esistente fra la sua squadra e
quella giallorossa e alle grandi tensioni che accompagnarono quel match. Da un
rapido riepilogo attraverso il canale Youtube e aiutandomi con la pagina Wikipedia
a lui dedicata, mi par di capire che non fosse quella la prima volta (si veda,
ad esempio, Juventus-Fiorentina 2-1 del 25 ottobre 2011).
Dopo aver letto l’articolo di
Crosetti, sarei autorizzato a pensare che quel gesto sia legato al terribile
retrogusto di aglio che forse ancora Bonucci sentirà fra le sue papille.
Ma credo che ci sia qualcosa di più profondo che mi sfugge e che vorrei tanto scoprire. Anche perché a sciacquarsi la bocca, pare, debbano essere i tifosi juventini verso i quali Bonucci si rivolge durante la giusta esultanza.
Analizzando quel gesto, penso che
quando si invita qualcuno a sciacquarsi la bocca, vuol dire che con quel
qualcuno si ha un conto in sospeso, un’offesa a cui porre un riparo, ci
sia un non detto dal sapore polemico che va risolto. Ma perché non dovrebbe
scorrere buon sangue fra Bonucci e i sostenitori bianconeri?
Ecco perché il suo gesto,
attraverso il quale Bonucci si autocolloca in superiorità morale rispetto ai
suoi colleghi (compagni o avversari che siano), agli arbitri, ai tifosi, ai
telespettatori, al contesto insomma che lo circonda, ai miei occhi ha un
qualcosa di misterioso.
Un enigma che vorrei conoscere
anche perché nei prossimi campionati europei, a differenza della sua militanza
di club, sarò costretto a fare il tifo per lui. Dovrò prepararmi ad esultare a
un suo gol, ma forse non sarò pronto ad accettare che le sue mani si muovano in
senso circolare davanti alle sue guance rigonfie. A meno che il mistero non venga svelato. Allora forse potrò decidere in assoluta serenità se accettare o meno
di condividere con lui la sua soddisfazione per una rete. Momento sublime e
irreversibile del gioco del calcio.
Sempre acuto Andrea...
RispondiEliminaPersonalmente questi gesti mi deprimono. Ma è così difficile esultare semplicemente senza dovere per forza essere polemici o sarcastici con qualcuno?
Sonno gesti che disegnano e trasmettono un mondo perennemente in guerra. Ricorderai anche tu la sigla iniziale dei programmi dedicati al calcio in Rai, credo ancora fino al campionato scorso, dove dei bambini giocavano e l'esultanza per un gol era scimmiottata con una cattivissima grinta spiritata che nulla aveva della gioia per una bella giocata e tutto della sadica cattiveria per l'umiliazione dell'avversario.
Magnifici esempi di sportività e rispetto! Proposti e veicolati dallo strumento più potente di creazione di senso.
E il ridicolo è che su tutte le maglie esibiscono lo slogan RESPECT.
Grazie mille a te.
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