Ieri, nel seminario "Antimafie. L'immagine criminale fra Tv e cinema" (Università di Cassino), è stato proiettato "La Rivoluzione in onda" di Alberto Castiglione. Un documentario che ricorda - soprattutto, ma non solo - l'attività giornalistica di Mauro Rostagno in Sicilia. Ma al di là dei contenuti, ciò che rimane del film è il senso di leggerezza di Rostagno che il regista ha meravigliosamente ricostruito andando a mettere le mani nella sua produzione televisiva. Quella leggerezza che Italo Calvino ci ha soavemente descritto nelle sue "Lezioni Americane". E penso (mi piace immaginare) che ciò che la mafia non ha mai perdonato a Rostagno e a Peppino Impastato, sia stato proprio sfidarla con la levità di chi "sa planare sulle cose dall'alto", senza avere "macigni sul cuore".
Sei i protagonisti di una grottesca scena messa su dallo Stato italiano. E' il 16 dicembre del 1969 a Roma, in tribunale. Quattro poliziotti ben vestiti, pettinati e con la barba fatta; un ballerino anarchico, con la barba incolta, stravolto dopo una notte insonne per via di un interrogatorio e un tassista milanese. «L'è lü (E' lui)!», escalama il tassista Cornelio Rolandi. «Ma m'hai guardato bene?», ribatte l'anarchico Pietro Valpreda. «Bè, se non è lui, chi'l gh'è no», si convince il Rolandi. E così il mostro fu sbattuto in prima pagina. Il Rolandi si era presentato dai carabinieri di Milano la mattina del 15 dicembre, mentre si svolgevano i funerali di Piazza Fontana, convinto di aver trasportato sul suo taxi il responsabile della strage alla Banca dell'Agricoltura. La sua macchina era posteggiata a poco più di 100 metri dalla filiale. Un uomo con una valigetta aveva chiesto di portarlo nei pressi della Banca e di aspettarlo lì. Pochi minuti dopo era ...
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