Era la sua festa. Anzi, no. La loro festa. I 60 anni di Nino D'Angelo
erano l'occasione giusta per unire il cantante con il "popolo delle sue
canzoni". Doveva essere un atto d'amore reciproco. E così è stato, in
uno stadio San Paolo con il sogno (malcelato) di vincere lo scudetto il
prossimo anno. D'Angelo non è solo la personificazione del suo popolo,
ma il suo punto di riferimento, l'esempio (nobile) da seguire. Un popolo
umile, educato, generoso, innamorato,
appassionato. Un popolo che conosce la fatica e il sudore del vivere
quotidiano. Un popolo che il segno di esistenze precarie e vite di
scarto ce l'ha disegnato sul viso. Un marchio che è un'eredità da
tramandandare di padre in figlio. Un popolo che forse non ha mai
conosciuto rappresentanza politica e che ieri lo ha confermato. Al
comparire del volto di De Magistris sullo schermo, ha lanciato fischi
sonori. Ovazioni per Merola, Troisi, Pino Daniele, De Filippo, Totò. Poco
coinvolgimento e un pizzico di disorientamento allo scandire il nome di Giancarlo Siani. Un popolo che
si è sentito rappresentato dalle canzoni d'amore del primo D'Angelo, in
cui il consumismo sfrenato degli anni '80 diventava il rifugio per una
vita sicura, tranquilla, "inclusiva", in linea con i tempi che devono
essere sempre moderni. Un popolo che, quasi quattro decenni dopo, cerca
ancora il re nel recinto della sua piccola patria. E Nino D'Angelo forse
lo è, con il suo viso da eterno bravo ragazzo che ce l'ha fatta,
aprendosi al mondo. Un Gianni Morandi tutto meridionale. Ieri D'Angelo
ha rivendicato la dignità della povertà. Lo ha fatto con animo sincero,
lontano da tossine populiste e paternaliste. Con trasporto, emozione,
riconoscenza. E se il ragazzo di Monghidoro cantava: "Uno su mille ce la fa", l'ex caschetto biondo non poteva non confessare davanti la sua Curva B: "Io sono la vittoria
di chi non conta nulla"
Sei i protagonisti di una grottesca scena messa su dallo Stato italiano. E' il 16 dicembre del 1969 a Roma, in tribunale. Quattro poliziotti ben vestiti, pettinati e con la barba fatta; un ballerino anarchico, con la barba incolta, stravolto dopo una notte insonne per via di un interrogatorio e un tassista milanese. «L'è lü (E' lui)!», escalama il tassista Cornelio Rolandi. «Ma m'hai guardato bene?», ribatte l'anarchico Pietro Valpreda. «Bè, se non è lui, chi'l gh'è no», si convince il Rolandi. E così il mostro fu sbattuto in prima pagina. Il Rolandi si era presentato dai carabinieri di Milano la mattina del 15 dicembre, mentre si svolgevano i funerali di Piazza Fontana, convinto di aver trasportato sul suo taxi il responsabile della strage alla Banca dell'Agricoltura. La sua macchina era posteggiata a poco più di 100 metri dalla filiale. Un uomo con una valigetta aveva chiesto di portarlo nei pressi della Banca e di aspettarlo lì. Pochi minuti dopo era ...
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