Era la sua festa. Anzi, no. La loro festa. I 60 anni di Nino D'Angelo
erano l'occasione giusta per unire il cantante con il "popolo delle sue
canzoni". Doveva essere un atto d'amore reciproco. E così è stato, in
uno stadio San Paolo con il sogno (malcelato) di vincere lo scudetto il
prossimo anno. D'Angelo non è solo la personificazione del suo popolo,
ma il suo punto di riferimento, l'esempio (nobile) da seguire. Un popolo
umile, educato, generoso, innamorato,
appassionato. Un popolo che conosce la fatica e il sudore del vivere
quotidiano. Un popolo che il segno di esistenze precarie e vite di
scarto ce l'ha disegnato sul viso. Un marchio che è un'eredità da
tramandandare di padre in figlio. Un popolo che forse non ha mai
conosciuto rappresentanza politica e che ieri lo ha confermato. Al
comparire del volto di De Magistris sullo schermo, ha lanciato fischi
sonori. Ovazioni per Merola, Troisi, Pino Daniele, De Filippo, Totò. Poco
coinvolgimento e un pizzico di disorientamento allo scandire il nome di Giancarlo Siani. Un popolo che
si è sentito rappresentato dalle canzoni d'amore del primo D'Angelo, in
cui il consumismo sfrenato degli anni '80 diventava il rifugio per una
vita sicura, tranquilla, "inclusiva", in linea con i tempi che devono
essere sempre moderni. Un popolo che, quasi quattro decenni dopo, cerca
ancora il re nel recinto della sua piccola patria. E Nino D'Angelo forse
lo è, con il suo viso da eterno bravo ragazzo che ce l'ha fatta,
aprendosi al mondo. Un Gianni Morandi tutto meridionale. Ieri D'Angelo
ha rivendicato la dignità della povertà. Lo ha fatto con animo sincero,
lontano da tossine populiste e paternaliste. Con trasporto, emozione,
riconoscenza. E se il ragazzo di Monghidoro cantava: "Uno su mille ce la fa", l'ex caschetto biondo non poteva non confessare davanti la sua Curva B: "Io sono la vittoria
di chi non conta nulla"
Affermare che un libro di storia sia sempre un’opera di storia contemporanea non basta a spiegare l’attualità di un volume che sa guardare, con un approccio interdisciplinare, ad una particolare forma di produzione audiovisiva, il fu (?) cinema di propaganda. Parola fulcro, quest’ultima, che ci serve a capire il lavoro di Mariangela Palmieri, docente di Storia del cinema all’Università di Salerno le cui ricerche vertono sugli audiovisivi come fonte storica. Ma di che oggetto stiamo parlando, dunque, e quale la contemporaneità della sua analisi? Sotto la nostra lente vi sono le pagine di Schermi nemici. I film di propaganda della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano (1948-1964) uscito per Mimesis Edizioni con la prefazione di Pierre Sorlin (Collana «Passato prossimo», pp. 182, 17 Euro). Un’opera che guarda ad un’epoca cronologicamente lontana ma storicamente ancora densa di significati per il nostro presente. Almeno per due motivi. Il primo perché viviamo nella cosidde...

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