Il caso Nikita esploso alla Festa del cinema di
Roma pone operatori dell’informazione, sistema scolastico-educativo, opinione
pubblica, politica e istituzioni di fronte a un quesito decisivo per la
crescita civile del nostro Paese: cosa vuol dire fare cultura,
sensibilizzazione, istruzione rispetto al tema “mafia”? Come tutte le sfide
democratiche e culturali, l’educazione su un tema così delicato e lacerante per
la tenuta civile di una comunità, è una questione che probabilmente non conoscerà
mai la parola fine. La banalizzazione applicata alle parole di Giovanni Falcone
(“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani etc. etc. etc…”)
converrebbe infatti tenerla da parte per un po’. Quando il dibattito mai sopito
sulle organizzazioni mafiose, inoltre, travalica i canoni del politicamente
corretto, sfida i conformismi culturali o non viene sapientemente gestito, la
questione è destinata inevitabilmente ad esplodere per incuria, malagestione,
approssimazione, superficialità.
In questi anni,
in seguito a eventi fortemente periodizzanti (le stragi del ’92-’93, l’uscita
di Gomorra, la strage di Duisburg,
l’anatema contro gli ‘ndranghetisti di Papa Francesco, il processo sulla
cosiddetta Trattativa Stato-mafia, l’inchiesta e il processo Mafia capitale, il problema Terra dei
fuochi) tutto si può dire, meno che di mafie si sia parlato poco. Progetti
scolastici sulla cosiddetta “legalità”, saggi, romanzi, fiction, documentari,
docu-fiction, film, canzoni, premi giornalistici, festival hanno rimpolpato gli
archivi della narrazione pubblica sulle organizzazioni mafiose da parte di quel
composito universo conosciuto come “antimafia sociale” e che, in nome di quella
etichetta, cerca spesso nuove verginità pubbliche. A volte ci si chiede a cosa
sia servito tutto ciò. Qualità e quantità non sono certo sinonimi. Letture
superficiali dei fenomeni ci spingono inoltre a rifugiarci tra le
autoconsolatorie parole del Gattopardo, convincendoci della perpetua condanna a
vivere sotto il giogo delle organizzazioni mafiose e dei poteri
politico-economici corrotti. Probabilmente non è così. Ma non allontaniamoci
troppo da ciò che è successo alla Festa
del cinema di Roma. Ricapitoliamo brevemente il tutto, soffermandoci con
lucidità più sul contesto che non sui fatti.
Un momento della presentazione di Camorriste (Fonte:Pagina Fb Alice nella città) |
Il 30 ottobre,
nello spazio Alice nella città (la
sezione dedicata ai ragazzi), in programma c’è la presentazione della seconda
serie di Camorriste, una docu-serie
su donne che hanno rivestito ruoli di spicco in clan di camorra. Anche la Festa
del cinema ha ufficialmente la sua “giornata per la legalità”. Sul palco,
da una parte c’è il bene – in alcuni casi “sotto scorta e sotto minaccia” –
incarnato da brave e coraggiose croniste invitate dalla Federazione nazionale
della stampa (Ester Castano, Federica Angeli, Angela Corica, Marilù
Mastrogiovanni, Marilena Natale). Dall’altro il male irredento che ha però
pagato il suo conto con la giustizia, personificato soltanto da Cristina Pinto
una ex camorrista dissociata ma non “pentita”, conosciuta con il soprannome di
matrice cinematografica Nikita che
oggi vive facendo la “pescatora” (la sua storia era già stata raccontata nella
prima serie di Camorriste). Ad
ascoltare, studenti delle scuole romane. Ecco, la ricostruzione dei fatti può
stavolta essere un particolare trascurabile. La raccolta degli elementi di
analisi può fermarsi qui, andando al di là anche dei contenuti veicolati sul
palco dalle oratrici. La costruzione dell’evento – altra parola non c’è per
definire la situazione progettata – si presenta già di per sé esplosiva. La
presenza di studenti e giornalisti non è sufficiente a costruire un contesto
scolastico né tantomeno informativo. Siamo a due passi da un red carpet, da una cornice di
intrattenimento, di glam e
spettacolo. Come detto, da un lato si è voluto mettere un “bene” e dall’altro
un “male” – numericamente rappresentati in maniera impari – che avrebbero
potuto trovare un punto di mediazione solo in una situazione
giornalistico-informativa. Da un lato chi fa domande penna e taccuino in mano,
dall’altra chi risponde. Senza moralismi. Facile altrimenti scagliarsi contro
Cristina Pinto, “costretta” a rappresentare in
toto l’universo criminale. Scorretto non solidarizzare con le giornaliste
giustamente indignate e imbarazzate, chiamate a personificare la libertà di
stampa vissuta a testa alta. Ma come poteva il vissuto drammatico di operatrici
dell’informazione minacciate e sotto scorta in potenza e in atto accettare la
voce, sincera peraltro, di una donna che, nonostante i venti anni di carcere,
non ha abbandonato la cultura totalizzante e totalitaria in cui è maturata la
sua scelta criminale? Chi ha pensato che l’incontro tra questi due universi
potesse rappresentare un momento pedagogico carico di senso e significato?
Probabilmente si è tenuto poco conto di come il non “pentimento” della Pinto
rappresentasse il fallimento della funzione rieducativa della pena e offrire la
sua testimonianza a delle scolaresche fosse fuori luogo sic et simpliciter. Questa vicenda ha molto da insegnarci e parla al
Paese intero, segnalando la lontananza dalla consapevolezza che la pedagogia
antimafia è un processo educativo a favore di valori che vanno sotto il nome di
democrazia, libertà, civismo. Come vaccinarci da questo populismo pedagogico
che in nome di un ambiguo concetto come quello della legalità pretende di forgiare
le coscienze dei cittadini del futuro? È questa una delle sfide del futuro. Da raccogliere
e superare.
Fiction Sky #Camorriste al @romacinemafest: le giornaliste antimafia si dissociano http://www.marilumastrogiovanni.it/camorriste-lantimafia-sociale-perde-la-bussola/
RispondiEliminaGrazie Marilù per aver condiviso qui il tuo pensiero e per aver arricchito il racconto di quanto (grave) accaduto alla Festa del cinema. Con stima, Andrea
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