Alessandro Gallo (foto di Davide Pippo) |
Questa è una storia di madri, padri e figli. Di droga, soldi, proiettili, sangue, teatro e letteratura. È una storia di camorra, di dolore e di riscatto, di fughe per sopravvivere e di latitanze. Nasce nella Napoli degli anni '80, nell’epoca post-terremoto e dei fasti maradoniani, dei sogni di onnipotenza di Cutolo e del sorriso in cerca di verità di Giancarlo Siani. Si sviluppa negli anni '90, quelli del Rinascimento cittadino e delle dismissioni industriali. Esplode all’alba del nuovo millennio, in quel sinistro chiarore che custodiva i semi della faida di Scampia e del paradigma Gomorra. Questa è la storia di Alessandro Gallo che ho raccontato per La Via Libera.
***
“Ad otto anni iniziai a familiarizzare con il mondo del carcere. Mi portavano per raccontare barzellette, recitare poesie di Eduardo De Filippo e di Eduardo Scarpetta. Avevo il compito di tirare su l’animo dei miei familiari che erano detenuti”. Da qui parte il racconto di Alessandro Gallo, attore, autore teatrale di 34 anni, marito e padre di due figli di stanza a Bologna, e anche scrittore di quattro romanzi. L’ultimo, Era tuo padre, è uscito pochi mesi fa edito da Rizzoli. Anche qui, come nelle opere precedenti, c’è la sua storia. Quella di un uomo che era un bambino irrequieto e si comportava secondo le logiche di un branco ammirando ed emulando i camorristi in lotta per il potere del suo quartiere, il rione Traiano, area Ovest di Napoli. “Sono arrivato in Emilia nel 2005. Ho tradito la città di cui è fatta la mia carne, ma non avevo scelta. Per il mio percorso di emancipazione era necessario un distacco violento con il mio contesto di origine. Venire qui per studiare al Dams mi ha permesso di guardare da una periferia il mio centro di vita che è, e sarà sempre, Napoli”. Alessandro sbarca all’ombra delle Due Torri un anno prima del secondo arresto di suo papà, Gennaro Gallo, uno stakeholder del clan Di Lauro: “La prima volta che fu arrestato mio padre aveva 58 anni. È stato un funzionario di banca, un imprenditore, un esponente politico. Oggi, dopo 12 anni di galera, vive a Napoli. È un anziano pensionato per il quale tutto quello che faceva nel e per il sistema non era camorra, ma imprenditoria”.
Un teatro salvavita
Da anni Alessandro si occupa di editoria, teatro, progetti educativi, attività tenute insieme dal filo rosso dell’impegno civile. “Cerco, attraverso il teatro, di lavorare con i ragazzi affrontando grandi temi del contemporaneo – spiega -. Si parte sempre da loro stessi e da fatti di cronaca che fanno luce sulle contraddizioni della loro generazione. Con il mio gruppo di lavoro operiamo tantissimo con le scuole e con gruppi più ristretti al pomeriggio. Ci rivolgiamo ai ragazzi fra i 12 e i 18/19 anni”. Le parole urgenti che animano questa attività sono rispetto, convivenza civile e interreligiosa, diritto alla diversità, bullismo, violenza di genere. “Sono temi macro, che sembrano allo stesso tempo pieni e vuoti, ma parlare di grandi questioni partendo dal proprio vissuto regala esperienze straordinarie. Il nostro vero obiettivo è quello di formare dei testimoni: ognuno di noi ha dentro di sé storie importanti che possono essere motore di azione per chi ha meno coraggio, meno strumenti o è timido”. Alessandro è salito per la prima volta su un palcoscenico in seconda media nelle vesti di Prospero ne La Tempesta di William Shakespeare. “Avevamo distrutto la scenografia del teatro della scuola. La punizione fu quella di recitare. La professoressa Angela Esposito dell’istituto Italo Svevo di Soccavo (quartiere a ovest del centro di Napoli, ndr) mi disse: ‘Prospero è un personaggio forte, un leader. Solo tu puoi farlo perché come sei leader nel tuo gruppo, lo sarai anche in scena’. Tutta un’altra storia, il mio secondo romanzo, racconta anche questo”. Saranno cinque gli anni di attività teatrale in quella scuola, anni segnati da una scoperta: “Un giorno stavo andando a scuola. Ero in metropolitana e sfogliavo il giornale Cronache di Napoli. Ho trovato la foto di mio padre e ho letto che era un camorrista. Di quei momenti riaffiorano sempre due cose: la grande, grandissima confusione e quella specie di solidarietà dei miei amici che ancora oggi ricordo come positiva. Anche loro sapevano cosa si provava in un momento così. Da quel momento è iniziato un calvario lunghissimo”. La camorra non aveva bussato quel giorno a casa Gallo. Oltre alle visite ai detenuti, in quegli anni Alessandro incontra le storie di soggetti violenti, spacciatori e vittime innocenti come Fabio De Pandi, ucciso da un proiettile vagante all’età di 11 anni a Soccavo nel 1991.
Donne, cugine killer e madri
Gli anni ’90 del rione Traiano sono segnati anche dalla considerevole presenza criminale di sua cugina, Cristina Pinto, killer di camorra legata al boss Mario Perrella, capo clan del quartiere, e conosciuta con il soprannome cinematografico di Nikita. Mia cugina oggi, dopo 24 anni di galera, ha ancora l’età giusta per una nuova vita – racconta -. Ricordo che per lei, tutto quello che faceva era camorra. Un approccio criminale diverso da quello di mio padre. Per lei, noi eravamo i buoni. Questa distinzione di comodo serviva a rimarcare una diversità strumentale al suo egoismo. Solo così sentiva di poter essere ammirata e invidiata. Dopo l’incontro con il teatro e dall’arresto di mio padre in poi, ho guardato la realtà con occhi diversi. Ho capito che quella violenza e quella ferocia che mi affascinavano, non facevano parte del mio mondo. Ho iniziato a vivere e a raccontare l’opposto, sapendo che quella della camorra non è semplice storia di buoni e malamenti, ma è materiale grigio, ambiguo”. Alessandro si rende così conto che la sua vita, come quella di sua sorella e di suo fratello, è in pericolo, circondata e minacciata da un “fuoco” che può incenerire le loro esistenze. E allora vengono progettate “delle canaline, delle vie di fuga in cui far scorrere dell’acqua per domare le fiamme”. A dirigere le operazioni è la madre, donna di cui Alessandro continua a “custodirne, con gelosia, il coraggio”. Sua madre guarda al futuro e investe su di loro, capendo che “l’investimento è protezione”: “Non è stata soltanto coraggiosa. Ha capito che ostentare la sua scelta, rompere con tutto e tutti, non sarebbe stata una carta vincente. Per fare tutto questo ci ha messo una vita. Tuttavia ci è riuscita con me indirizzandomi verso il teatro, con mia sorella facendola studiare all’estero e con mio fratello che oggi fa l’infermiere in Veneto. Eppure oggi lei è ancora là, in quel contesto, a ricordarci che questa è una delle che le donne napoletane sono in grado di condurre: modificare lentamente un intero sistema familiare”. “Delinquere è semplice se non esiti troppo”, recita il personaggio di Gaetano in Era tuo padre rivolgendosi a Camilla, la ragazza che decide di allontanarsi dall’impero criminale creato dal padre al Nord. Alessandro è cresciuto in un contesto in cui le figure femminili, in positivo e in negativo, sono state fondamentali: “La camorra in questi anni si è autonarrata come un mondo ipermaschilista e patriarcale, ma chi mette le armi nelle mani dei figli sono le donne. Se riuscissimo a far crescere culturalmente le donne, il futuro della camorra sarebbe un percorso minato”.
Ragazzi scimmia
Questione antica quello delle creature nel mondo camorristico, che il primo libro di Alessandro, Scimmie, affrontava di petto. Le sue scimmie erano la trasposizione letteraria dei muschilli raccontati da Giancarlo Siani nel suo ultimo articolo prima di essere ucciso nel 1985: ragazzini desiderosi di raggiungere un benessere che li strappasse dalla povertà. Per Alessandro, “i ragazzini coinvolti nelle paranze sono affascinati dal potere. Sono dei terroristi che i boss hanno immesso in strada per costruire un clima di paura generalizzata. Questo terrorismo incontrollato – pensiamo al fenomeno delle stese – ha innescato una richiesta di ordine e un processo culturale apologetico favorevole ai vecchi camorristi”. Ma - ci racconta infine Alessandro – “c’è anche chi da questo gioco al massacro è riuscito a scappare facendo un salto di qualità. Dietro le operazioni anticamorra al Nord – penso a quella di Rimini dello scorso ottobre in cui spiccava il nome di Ciro Contini (Operazione Hammer, ndr) – si nascondono proprio storie di questo tipo. Il fenomeno della paranza è una questione pedagogica, sociologica, antropologica e storica che andrebbe ulteriormente ridiscussa. Metterla sotto la lente d’ingrandimento, sarebbe un bene per l’intero Paese”.
Commenti
Posta un commento