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Flessibilità e soldi in cassa: così le mafie italiane si preparano al new normal


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“Non c’è crisi che non sia una grande opportunità per le mafie”. Così parlava lo scorso 6 aprile, in un’intervista a La Repubblica, il Procuratore nazionale antimafia e terrorismo Federico Cafiero de Raho. Le organizzazioni criminali di tipo mafioso hanno infatti storicamente dimostrato una importante abilità nell’adattarsi alle mutazioni economiche, sociali e politiche del contesto in cui operavano.

TRA ARCAISMO E MODERNITÀ

“In economia, le mafie hanno coniugato pubblico e privato, monopolio e concorrenza, capitalismo e mercantilismo, industria e commercio, produzione e finanza, holding e franchising”, ricorda Marcello Ravveduto, docente di Public History presso l’Università di Salerno. Grazie a questa loro capacità mafia, camorra e ‘ndrangheta hanno superato senza grossi traumi i diversi passaggi storici, “muovendosi come un pendolo in continua oscillazione tra arcaismo e modernità”.

Basta un rapido sguardo al loro processo evolutivo nella storia italiana, per vedere come esse si siano affermate nel periodo post-unitario, abbiano “resistito” al Fascismo, trovato una nuova ragion d’essere nel periodo repubblicano e nel contesto della Guerra fredda, ed incontrato grandi opportunità di arricchimento nel trionfo del mercato nell’era neoliberale.

IL CONTESTO ATTUALE E IL NEW NORMAL

Il quadro politico-economico che ci consegna l’emergenza CoVid-19 potrebbe rientrare a pieno titolo in questo ragionamento. Da un lato, la capacità di intervenire delle organizzazioni criminali è, strutturalmente, una diretta conseguenza dell’inefficienza e della lentezza dello Stato, a cui potrebbero aggiungersi, in questa fase, le incognite legate al sistema bancario qualora si dimostrasse inerte. Dall’altra, l’insofferenza verso la burocrazia tout court e il disprezzo per le regole, considerate come un ostacolo all’azione economica, rischiano di spingere verso un allentamento dei controlli sull’erogazione dei finanziamenti.

Le organizzazioni criminali stanno tentando e tenteranno quindi di trovare il loro new normal, adattandosi al nuovo quadro post-pandemico, continuando a esercitare potere sul loro tradizionale territorio d’azione e cercando, allo stesso tempo, nuovi confini oltre cui spingersi, stringendo relazioni al di fuori dei sodalizi criminali con chi mafioso non è, utilizzando il loro riconoscibile codice culturale, differenziando l’esercizio della violenza come strumento di regolazione dei conflitti, perseguendo precisi obiettivi economici e politici, mescolando necessità e opportunità. Il tutto incontrando anche delle difficoltà. Considerare infatti le organizzazioni criminali soggetti onnipotenti – capaci di fare il bello e il cattivo tempo sempre e comunque senza che Stato e società civile sappiano contrastarle – è un’operazione culturale rischiosa, che rafforza, colpevolmente e ancora una volta, uno stereotipo fatto di soggetti sempre in salute e nel pieno delle proprie forze, dotati di un potere sciolto da ogni vincolo.

COSA SUCCEDE NEI TERRITORI

“Nonostante droga, prostituzione e gioco non risentano quasi mai delle crisi economiche, anche i criminali hanno avuto i loro problemi con il lockdown”, spiega il professor Isaia Sales, storico delle mafie presso dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. “Per questo il desiderio di recuperare ciò che si è perduto è forte e quando si è decisa una consistente immissione di risorse pubbliche per contrastare gli effetti della pandemia, c’è stata preoccupazione, perché non si replicasse ciò che era avvenuto dopo le grandi tragedie della nostra storia: che le mafie potessero intercettare quel denaro per alimentare il proprio potere a danno della collettività. Per la camorra, è bene ricordarlo, la ricostruzione post-terremoto del 1980 è stato un momento di svolta”.

La pandemia – lo abbiamo compreso bene in questi mesi – ha messo in apprensione il mondo economico in tutti i suoi aspetti, legali e non. E se c’è una cosa che i soggetti economici non possono smettere mai di fare, è quello di pensare e progettare.

A fine marzo, nei giorni più severi del lockdown, dalla Calabria giungeva la notizia dell’arresto di Rocco Molè. Venticinque anni, figlio del boss Mommo, in un’area di sua proprietà nel comune di Gioia Tauro, Molè aveva nascosto sotto il terreno oltre mezza tonnellata di cocaina. “Questa notizia mi ha in un certo modo colpito”, racconta Antonio Nicaso, docente di Storia sociale della criminalità organizzata presso la Queen’s University di Kingston (Canada). “Mentre a livello globale si registrava un aumento cospicuo dei reati di cybercrime, in America Latina c’era meno possibilità di produrre droga, ad esempio per mancanza di cherosene, e nelle città vuote si studiavano nuove forme di spaccio, Rocco Molè mi ha fatto pensare all’atteggiamento tipico delle formiche: accumulare riserve e avere magazzini pieni, in modo da garantire sempre forniture ai propri partner commerciali”.

Qualche settimana dopo, nel mese di maggio, sul fronte siciliano, in un’operazione della Guardia di finanza di Palermo (coordinata dalla locale Dda) che ha portato a 91 arresti, invitavano alla riflessione le parole usate dal gip Piergiorgio Morosini nell’ordinanza di custodia cautelare: “I clan sono sempre pronti a dare la caccia ad aziende in stato di necessità. Con la crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti, i componenti dell’organizzazione mafiosa potrebbero intervenire per praticare l’usura e per poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, alterando la libera concorrenza”. A circa trent’anni dalla stagione stragista e dall’eclissi della fazione corleonese di Riina & co., Umberto Santino, direttore del Centro di documentazione Giuseppe Impastato di Palermo, avverte: “La mafia nel dopo virus potrebbe gestire una sorta di welfare di base per quelle fasce sociali il cui disagio sociale non potrà che aggravarsi. Si parla di 10 milioni di persone a rischio povertà in Italia.Per questo bisogna intervenire sugli aspetti che rendono mafiogena una società, per cui le mafie si riproducono, nonostante l’efficacia della repressione”.

Segnali allarmanti arrivano anche dalla capitale, il cui tessuto economico è in sofferenza. Il 12 maggio, nella cornice da cartolina di Trinità dei Monti, trecento tra commercianti e imprenditori hanno organizzato un flash mob di protesta. Temono per il futuro della loro impresa. Il rischio di essere avvicinati da “investitori opachi” e stimolati a cedere le proprie attività è alto, come denunciano le associazioni di categoria. “Serve un nuovo patto sociale per la città di Roma, un patto che veda la scuola al centro di tutto”, denuncia Danilo Chirico, presidente dell’associazione daSud, in occasione della presentazione di un’indagine conoscitiva – dai risultati poco incoraggianti – su droga, criminalità e mafie condotta fra gli studenti romani. “L’emergenza Covid-19 non ha fatto altro che aggravare il preoccupante quadro cittadino. Gli allarmi degli investigatori, gli episodi di cronaca, la corsa agli appalti per mascherine e servizi sanitari, la ridefinizione del welfare territoriale, lo storico dramma dell’usura e la riorganizzazione delle piazze di spaccio nelle zone più povere sono lì a testimoniarlo”.

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