Il 22 giugno del 1986 è una domenica, il giorno consacrato al Signore nella tradizione cristiana. Alle ore 12 ora locale di Città del Messico, su uno Stadio Azteca colmo di circa 115.000 anime, discende una luce perpendicolare che accarezza il rettangolo verde. Chissà se davvero lo sguardo di Dio, l’essere supremo che tutto sa e che tutto può, è rivolto allo stadio che sedici anni prima vide i sette gol della Partita del secolo.
Perché negli anni, per raccontare ciò che accadrà nelle due ore successive al fischio d’inizio di Argentina-Inghilterra, il match valevole per i quarti di finale del mondiale di México ’86, Dio lo si è scomodato più e più volte. Si narra infatti che quel pomeriggio el Barba, così lo chiamano gli argentini, busserà due volte alle porte della Storia. La prima con la mano, come un normale essere terreno, la seconda con la nuca, come solo un ente superiore può fare. Fra le due epifanie, il gol del secolo di Diego Armando Maradona.
La storia di questa partita inizia sei anni prima, il 13 maggio del 1980. Quel giorno, durante l’amichevole Inghilterra-Argentina nel tempio di Wembley, un Maradona non ancora ventenne, ricevuta la pelota fuori dall’area, sfugge alla pressione di quattro giocatori inglesi, corre verso la porta avversaria e con un esterno sinistro, per un soffio, non batte il portiere Raymond Clemence in uscita. Due anni più tardi nel 1982, il generale Galtieri, alla guida di una giunta militare che terrorizza l’Argentina dal 1976, decide di sfidare l’Inghilterra di Margaret Thatcher per il possesso delle Isole Falkland/Malvinas.
È la mattina del 2 aprile quando la maggioranza degli argentini apprende, fra stupore ed euforia, che 5.000 soldati stanno per occupare quell’arcipelago australe popolato di pecore e pinguini.
Una folla oceanica inneggia al generale e riempie la Plaza de Mayo di Buenos Aires, dove solo tre giorni prima era stata duramente repressa una manifestazione del sindacato CGT, la Central general de trabajadores. La reazione britannica sarà durissima. Il 2 maggio, 323 soldati argentini muoiono a bordo del colpito e affondato incrociatore General Belgrano. L’Argentina si arrende 74 giorni dopo lo scoppio della guerra, il 14 giugno, e la bruciante sconfitta influisce sulla crisi già profonda del regime militare.
Il 13 giugno, l’Argentina esordisce, perdendo di misura contro il Belgio, al Mundial di Spagna ’82. Alla selección campione del mondo in carica tocca difendere il titolo conquistato quattro anni prima in patria in un clima di terrore. Tra gli uomini a disposizione di César Luis Menotti detto el Flaco, c’è anche un ventitreenne difensore che non vedrà mai il rettangolo verde.
L’anno prima, nel 1981, El Gráfico gli ha dedicato un ricco servizio, in cui viene definito un giocatore dalla «pierna fuerte» e dalla «cabeza dura», «gamba robusta» e «testa dura». Si chiama Julio Jorge Olarticoechea e come tutti gli argentini anche lui ha un soprannome: el vasco. In quei giorni, prima di passare al River Plate, milita nel Racing di Avellaneda e sogna, come tutti, di vincere un campionato in patria e trionfare in un mondiale con l’albiceleste.
La prima opportunità arriva mentre la guerra è agli sgoccioli, i soldati argentini finiscono prigionieri dell’esercito britannico e Giovanni Paolo II, a Buenos Aires, dice messa davanti a migliaia di migliaia di fedeli, Galtieri e gli altri membri della giunta militare. Tra i convocati da el Flaco questa volta c’è anche Diego Armando Maradona, il grande escluso del Mundial ‘78, ma la stella del pibe de oro non brillerà nei torridi pomeriggi spagnoli. Argentina fuori nella seconda fase a gironi (sarà tutta un’altra musica quattro anni più tardi).
Al mondiale disputatosi nella Spagna post-franchista, partecipa anche l’Inghilterra sulla cui panchina siede Ron Greenwood. Anche gli inglesi usciranno nella seconda fase, imbattuti però, dopo aver vinto gli incontri del primo girone e aver subito un solo gol nei cinque match disputati.
Il 1982 è il terzo anno nelle vesti di primo ministro per la conservatrice Margaret Thatcher, The Iron Lady, per la quale a esistere non è la società ma solo gli individui. Nei quattro anni che separano il mondiale di Spagna dal secondo messicano, sono tre gli episodi che segnano la sua azione di governo. Nel 1984, la Baronessa Margaret mostra il pugno duro al sindacato dei minatori con un’azione repressiva che culmina nel mese di giugno nella Battaglia di Overgreave, con un bilancio di oltre 100 feriti.
Quattro mesi più tardi, l’Ira fa esplodere una bomba al Grand Hotel di Brighton mentre si svolge il congresso del Partito conservatore britannico. Cinque persone rimangono senza vita. La Thatcher ne esce illesa.
29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, 39 persone muoiono prima della finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Juventus. Sono 32 i tifosi bianconeri a perdere la vita. È una delle più grandi tragedie della storia dello sport. «Non ci sono parole, nessuna possibile giustificazione; la colpa è interamente dell’Inghilterra». Dopo le parole della Lady di ferro, le squadre inglesi rimarranno lontane dalle competizioni Uefa per cinque anni, il Liverpool sei. Intanto sulla panchina della nazionale siede Bobby Robson. Sarà lui a portare l’Inghilterra al mondiale messicano, dove Maradona arriva dopo quattro (alterne) stagioni disputate in Europa e con l’obiettivo di mostrare, finalmente, al mondo intero di essere el más grande, el genio del fútbol mundial.
L’Argentina è intanto entrata in una nuova stagione politica. Nel 1983 viene eletto presidente il radicale Raúl Alfonsín. Nel 1985 i membri delle giunte militari finiscono sotto processo. Nel 1986, mentre il cinema argentino trionfa agli Oscar con La historia officia di Luis Puenzo, film dedicato alla tragedia dei desaparecidos, e il mondo letterario dà l’addio a Jorge Luis Borges, scrittore simbolo del XX secolo, la selección, tra lo scetticismo degli addetti ai lavori, vola in Messico per il mondiale.
Sulla sua panchina siede il dottor Carlos Bilardo, detto el Narigón. Il suo fútbol tacticista è considerato l’antitesi di quello conceptualista di Menotti. L’opinione pubblica argentina è storicamente divisa. Bilardisti di qua, menottisti di là. L’Argentina nel girone di qualificazione batte la Corea del Sud per 3 a 1 e la Bulgaria per 2 a 0. Ma il match che dà consapevolezza a tutta la squadra di poter fare qualcosa di importante nei giorni messicani è il pareggio contro l’Italia campione in carica, quando al rigore di Spillo Altobelli, risponde un tocco morbido di Maradona. Palla in rete e gli occhi di Scirea e Galli persi sotto le nuvole messicane.
L’Inghilterra invece parte male, perdendo di misura con il Portogallo e pareggiando con il Marocco. Dopo 180’ minuti, ancor nessun gol per Shilton e compagni. Nel terzo match, si sveglia Gary Lineker. Tre gol alla Polonia e passaggio del turno. Negli ottavi, il 16 giugno, gli argentini affrontano l’Uruguay di Enzo Francescoli e sarà il leccese Pedro Pablo Pasculli a firmare il gol vittoria. Ma il cartellino giallo al trentesimo del primo tempo rifilato al laterale sinistro Oscar Garré diventerà, inconsapevolmente, un momento chiave di quel mondiale.
Per il diffidato Garré, sempre titolare fino a quel momento, scatterà la squalifica. Il 18 giugno gli argentini conoscono il nome dei futuri avversari. Con una doppietta di Lineker e un gol di Peter Beardsley, gli inglesi guadagnano il passaggio del turno. Paraguay liquidato per 3 a 0. Argentina e Inghilterra si affronteranno così per la terza volta in un mondiale.
Il bilancio, fino ad allora, è tutto a favore dei britannici. Sono passati sei anni da quell’amichevole di Wembley vinta per 3 reti a 1 dai padroni di casa e quattro anni dai giorni della resa del mal equipaggiato esercito argentino al cospetto della potenza inglese. Mancano invece solo quattro giorni all’unica partita della storia del calcio che sul proprio taccuino vedrà appuntati due gol con tanto di denominazione: la mano de Dios e el gol del siglo. Per lo scrittore argentino Andrés Burgo gli elementi che rendono incredibile questa partita già prima del fischio d’inizio ci sono tutti:
«La guerra delle Malvinas sullo sfondo con la sua ferita ancora non rimarginata, la violenza tra le barras bravas e gli hooligans, le magliette azzurre degli argentini comprate e ricamate poche ore prima del match, un insolito arbitro tunisino (Ali Bennaceur, ndr) e un prato in condizioni terribili che avrebbe reso difficile il gioco in quel caldo intenso e nell’altura messicana».
A trasformare in leggendari quei 90 minuti contribuiscono le scelte di Bilardo sul match. Fuori Pasculli, cambio di modulo e dentro dal primo minuto, entrambi per la prima volta, Héctor Henrique, colui che innesca il gol del secolo, ed in luogo di Garré, el vasco Olarticoechea.
Dalla parte inglese, da tenere sul taccuino degli appunti il retropassaggio di Steve Hodge che propizia l’irregolare vantaggio argentino, il sesto gol di Lineker e le sgroppate sulla fascia sinistra di John Charles Barnes, il futuro fantasista del Liverpool entrato in campo al minuto 74 al posto di Trevor Steven, quando Maradona ha già mescolato, a vantaggio del suo popolo, furbizia e sapienza.
Nel giro di pochi minuti, quel ragazzo cresciuto nei potreros di Villa Fiorito ha fatto capire al mondo intero di cosa è capace. Nel bene e nel male. Per volere di Dio sì, ma tirando anche fuori il meglio di sé. Saltando come una rana e volando come un aquilone. Nel nome di quei ragazzi uccisi come pajaritos, come uccellini, quattro anni prima, per rendere onore alla loro memoria e regalare un sorriso alle loro famiglie in lutto per colpa dei militari e del piombo inglese.
Riscattando sul campo il mondiale spagnolo e ripescando nella memoria la fallimentare giocata di inizio decennio sul prato di Wembley, rieseguendola in chiave vincente. Consegnando alla storia uno dei momenti più importanti del breve ma intenso secolo teorizzato da Eric Hobsbawm.
I media argentini e inglesi, nei giorni di avvicinamento alla partita, hanno infatti surriscaldato l’atmosfera in chiave storico-nazionalista. Ricorda Jimmi Burns: «Se i tabloid inglesi facevano del loro meglio per dipingere la squadra inglese come una versione aggiornata della task force dispiegata a suo tempo nell’Atlantico meridionale – “Il Messico allerta 5.000 militari” avvertiva un titolo; “Argentini, stiamo arrivando”, strillava un altro – anche gli equivalenti argentini fecero la loro parte. Equipararono Maradona al generale José San Martín. “Stiamo venendo a prendervi, pirati!”, dichiarava in grassetto il titolone di “Croníca”, populista come al solito. Bastò quello a spingere interi gruppi di barras bravas a prendere un aereo da Buenos Aires a Città del Messico, giurando vendetta per i fratelli morti alle Malvinas e bruciando bandiere durante il viaggio».
Nelle dichiarazioni ufficiali, Bilardo, Robson e i calciatori delle due nazionali depoliticizzano il valore del match. Racconterà Maradona: «Se fosse stato per gli argentini, saremmo dovuti uscire tutti con una mitragliatrice. Quello che io volevo era fargli un bel sombrero, un tunnel, fargli girare la testa. Era una battaglia, sì, ma nel mio campo di battaglia».
Al decimo della ripresa l’Argentina è quindi avanti di due reti. Un’eternità separa ancora dalla semifinale gli uomini di Bilardo. Bisogna ancora fare i conti con il giamaicano Barnes, un castigo di Dio per il lato destro della difesa argentina, occupata da el Gringo Giusti e (mal)rinforzata da Henrique. A dieci minuti dal novantesimo, grazie a un suo cross Lineker diventa l’unico calciatore inglese a laurearsi capocannoniere di un mondiale.
Dimezzato lo svantaggio, la pressione degli uomini di Sir Bobby Robson aumenta in un batter d’occhio. Pochi minuti e Barnes vola ancora via, crossa in area, la palla scavalca le mani di Pumpido e sta per entrare in rete sul lato opposto, quando, secondo gli argentini, el Barba si materializza per la seconda volta sullo stadio dedicato al popolo Azteca, offrendo ai figli della “nazione cattolica”, la sua nuca. Olarticoechea anticipa Lineker colpendo la palla con la nuca a un passo dalla porta di Pumpido.
«Era una giocata simile al primo goal, sapevo che Barnes l’avrebbe messa al centro. Ho continuato a correre e quando la palla è arrivata sono riuscito a tuffarmi, con Lineker alle mie spalle, ho fatto una piccola mossa con la nuca… d’altro canto io non ho molto collo… È stato molto difficile, perché andavo verso la mia porta. Siamo caduti entrambi oltre la linea, ho sentito che la palla mi ha colpito, ma non sapevo se fosse entrata o meno. Dopo, l’ho chiamata “el nucazo de Dios” (la nuca di Dio), per calmare quella ossessione. Se avessi fatto autogol, non mi sarei dato pace per tutta la vita. Non ho mai smesso di pensare a un rigore sbagliato a 12 anni, immaginate un autogol in un Mondiale».
Così racconterà anni dopo ancora a El Gráfico, quel primo pomeriggio di Città del Messico Julio Olartigoechea, «pierna fuerte y cabeza dura». Per lui, campione del mondo in quel 1986 agli ordini de el Narigón, a fine carriera un bilancio di trentadue presenze nella albiceleste e nessun gol. E un appellativo per l’eternità: el nucazo de Dios.
P.S. Il generale Leopoldo Fortunato Galtieri è morto il 12 gennaio del 2003. Quando Margaret Thatcher verrà a mancare dieci anni dopo, l’8 aprile 2013, nella pagina Twitter @falklands_utd, comparirà il messaggio: «Riposa in pace, Maggie. Per sempre grati». Il giorno successivo, il quotidiano argentino Página/12 andrà in edicola titolando: «Galtieri la aspetta all’inferno».
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