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L’amore di un’Argentina in ginocchio per «quello che chiamiamo un Dio»


Il popolo argentino ha dato l’ultimo saluto a Diego Armando Maradona, un peronista nato a Villa Fiorito, all’interno della Casa Rosada. Non senza polemiche e problemi di ordine pubblico. Per l’emergenza sanitaria e non solo.

Nel palazzo presidenziale Maradona si sentiva di casa. Dal suo balcone si affacciò nel 1986, dopo la conquista della Coppa del mondo al mondiale messicano. Un anno fa circa, nel dicembre 2019, Diego era andato a far visita al neoeletto presidente Alberto Fernández, che in queste ore gli ha detto addio mettendo sulla bara una camiseta dell’Argentinos Juniors. La sua squadra del cuore, il primo club professionistico di Diego che da qualche anno a questa parte gioca nello stadio già intitolato al suo numero dieci più famoso.

«IN QUALUNQUE LUOGO Maradona fosse stato vegliato sarebbero nate polemiche, ma il fatto che sia stata scelta la Casa Rosada è un fatto insolito nella nostra storia», racconta Fortunato Mallimaci, sociologo dell’Università di Buenos Aires, profondo conoscitore e studioso degli aspetti culturali della religiosità in Argentina. «Quelle che stanno facendo il giro del mondo in queste ore, sono immagini uniche. Non c’è stato niente di paragonabile nel nostro passato a quello che abbiamo visto in questi giorni. Il fenomeno ampio, di massa, popolare e giovanile che la figura identitaria di Maradona ha generato in queste ore, in una Argentina messa in ginocchio dalla pandemia e che ancora porta sulla sua pelle i segni del governo neoliberale di Mauricio Macri, ha dello straordinario. Stiamo assistendo a una religiosità della solidarietà, dell’incontro, della calle, della strada. Abbiamo visto tifosi con le magliette di tutte le squadre di calcio dell’Argentina, forme di devozione incredibili, spuntare altari e gente in pellegrinaggio per quello che chiamiamo un Dio», aggiunge il professor Mallimaci.

L’ULTIMA VOLTA che il palazzo presidenziale fu teatro di una veglia funebre fu per Nestor Kirchner, il presidente peronista dell’Argentina post-default di cui proprio in questi giorni ricorrono i dieci anni della morte.

Se la camera ardente del cantante Carlos Gardel fu allestita nel 1935 nello stadio Luna Park, il tempo della boxe e della musica porteña, dove si esibì Raffaella Carrà e Maradona organizzò il suo matrimonio, quella di Evita fu approntata al primo piano del Ministero del Lavoro, oggi sede dell’assemblea legislativa della città di Buenos Aires, in calle Perù, a due passi dal palazzo del presidente. Era il 1952 e un inarrestabile fiume popolare per giorni e giorni omaggiò la leader spirituale della nazione argentina scomparsa a soli, ipersimbolici, 33 anni. A suo marito Juan Domingo, nel 1974, toccò essere vegliato nella sede del Congreso de la Nación, il parlamento argentino. Stessa sorte per Raúl Alfonsín, il primo presidente della nuova democrazia argentina, scomparso nel 2009.

Tanti sono stati i personaggi di grande popolarità a essere ospitati lì. Dalla cantante Mercedes Sosa, importante esponente della musica del cosiddetto “folklore argentino” scomparsa nel 2009, a Sandro, celeberrimo cantante pop morto un anno dopo, passando per Leonardo Favio, cantante, attore e regista spentosi nel 2012 e che legò il suo nome anche a quello di Carlos Monzón, il pugile-attore che diresse nel film Soñar, soñar del 1976.

«PRIMA DI MARADONA, il grande personaggio sportivo che ha avuto l’onore di essere vegliato nella Casa Rosada è stato Juan Manuel Fangio, pilota di F1 più volte campione del mondo morto nel 1995» ricorda Mallimaci. Il secondo miracolo da quando Maradona è passato a miglior vita si potrebbe dire. Il primo è stato quello di contendere alla pandemia il predominio nelle fabbriche di notizie del pianeta. D’altronde, sottolinea Mallimaci, «è morto un cittadino globale, un personaggio che è molto difficile da interpretare, analizzare e comprendere. Le prime pagine dei giornali di tutto il mondo che lo hanno celebrato e le lettere inviate da Lula e Macron sono parole e immagini che, ovviamente, sono già nella Storia e saranno testimonianza di quest’epoca».

Ma la dimensione religiosa in queste ore sembra surclassare quella politica di Maradona.

«LUNGO IL PERCORSO che ha portato il corpo di Maradona al cimitero privato di Bella Vista, lontano dalla capitale, gli spettatori di questo viaggio si facevano tutti il segno della croce. Ma su alcune elementi, vorrei ancora mettere l’attenzione. Se con Giovanni Paolo II, Maradona, nel suo pieno stile comunicativo, ebbe da polemizzare, con Papa Francesco, ha avuto più di un incontro. Non a caso, Bergoglio ha inviato per Maradona un rosario. E una corona per pregare l’ha portata sul suo feretro anche Cristina Kirchner. La dimensione cristiana del suo funerale è fortissima.

Nell’Argentina di queste ore, risuona, prepotente, questo canto popolare: «Maradona no se fue, Maradona no se murió».

*L'articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Manifesto il 28 novembre 2020.

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