Passa ai contenuti principali

Raffaele Cutolo, il boss ideologo e crossmediale



«Il camorrista è uno che ha subito sofferenze prima di delinquere». «Sono un uomo che combatte contro le ingiustizie». «Perché ci sta questa malavita organizzata? Perché c’è il ghetto: non c’è il lavoro, in Campania non c’è niente. Ecco perché». Così parlava nel 1981 al microfono Rai di Giuseppe Joe Marrazzo Raffaele Cutolo, il boss di Ottaviano scomparso ieri all’età di 79 anni nel reparto sanitario del carcere di Parma, dopo una vita trascorsa sotto il duro regime del 41-bis. Quelle da lui pronunciate sono frasi passate alla storia e che gli hanno permesso, insieme alla sua intensa, eversiva ed innovativa attività criminale, di diventare una delle figure più ambigue ed oscure del Novecento italiano. Raffaele Cutolo ha infatti fornito teoria e prassi ad una particolare forma di ideologia camorrista, capace di dare forma e sostanza alla cosiddetta NCO, la Nuova Camorra Organizzata, il sodalizio criminale di massa da lui fondata, in cui si accedeva attraverso un rito iniziatico e a cui si oppose un cartello di clan, riunitisi sotto la sigla NF, Nuova Famiglia.

«La camorra cutoliana è stata qualcosa di più complesso di quella tradizionale e della mafia. La NCO ha poi tentato di centralizzare le attività sotto un’unica regia economico-militare», racconta il professor Isaia Sales dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. «Cutolo ha scimmiottato la figura del leader carismatico ideologico e ha dato un carattere terroristico alla sua organizzazione fornendo una giustificazione sociale al ribellismo dei giovani criminali».

Prima che nel 2006 esplodesse il paradigma Gomorra, l’immaginario collettivo legato alla storia della camorra era quindi legata indissolubilmente a lui, il professore di Ottaviano, il figlio di contadini che cerca un pubblico a cui raccontare l’immagine di chi si è emancipato dalla povertà e dalla sottomissione, che predica la violenza unendola a buoni sentimenti.

Sulla sua figura, oltre a Marrazzo, pongono l’attenzione, tra gli altri, il regista futuro premio Oscar Giuseppe Tornatore e il cantautore Fabrizio De André.

Per Marcello Ravveduto, storico dell’Università di Salerno, «quando Tornatore gira Il camorrista nel 1986, il film ispirato alla sua vita, Cutolo è già un boss crossmediale. Di lui parlano diffusamente i giornali sottolineandone gli aspetti istrionici assunti durante le udienze in tribunale, è apparso più volte in Tv in reportage entrati nella storia del giornalismo italiano, sono stati dati alla stampa una sua biografia romanzata e un libro di poesie scritte di suo pugno».

Negli anni ’80, il decennio in cui la Rai manda in Tv La Piovra e in Italia si celebrano i processi-maxi. Buscetta il pentito è una ghiotta preda mediatica e il mondo della giustizia incrocia i sentieri del linguaggio televisivo. Gli anni ’70 sono stati quelli del terrorismo, delle stragi di Stato, del cinema di genere che vede le città italiane essere teatro di violenza e a Napoli nasce la cine-sceneggiata, filiazione del poliziottesco in cui i mandolini suonano e le pistole cantano. Tra il 1975 e il 1985, nelle province di Napoli, Caserta e Salerno, si contano oltre 1500 omicidi. Cutolo è figlio del suo tempo e fa sua la potenza di fuoco dei media, cercando di utilizzarla a proprio vantaggio, lanciando la sua immagine nell’universo comunicativo dell’epoca.

Al ritmo di tarantella, De André disegnerà nella sua Don Raffae’ la figura di un uomo che gode di consenso sociale, che di fronte alla giustizia via Tv si veste con eleganza e che soprattutto sa dare ascolto agli uomini degli strati sociali più bassi, sfiduciati verso le istituzioni democratiche. La canzone è del 1990. Siamo quattro anni dopo l’opera prima di Tornatore e l’interpretazione di un Ben Gazzara fortemente somigliante, nei costumi, nel trucco e nelle movenze al vero boss.

Il film, anche grazie alle ripetute messe in onda sui canali privati locali, ha goduto di una incredibile popolarità nel contesto campano, una penetrazione che arriva fino ai giorni nostri, intrecciata a quella del fenomeno Gomorra (basterebbe pensare al personaggio di Pietro Savastano nella serie Sky). Le note della colonna sonora firmate da Nicola Piovani si sono trasformate nella suoneria dei cellulari di intere fasce di popolazione e sono state, insieme alle battute più famose del film, oggetto di innumerevoli trasformazioni mediali, già in un’epoca pre-web. A testimonianza del poderoso codice culturale che Cutolo ha saputo creare e infondere per dare forza al suo desiderio di potenza e di dominio.

D’altronde, era un uomo che «sapeva guardare al futuro».

Parola (amara) di Enzo Biagi.

*L'articolo è stato pubblicato su Gli Stati Generali il 18 febbraio 2021.

Commenti

Post popolari in questo blog

Napoli, Baires: Maradonologia. Una bella chiacchierata con Pablo Alabarces

«Fútbol y Patria». «Peronistas, Populistas y Plebeyos». «Historia mínima del fútbol en América Latina». Questi sono solo tre titoli di una ricca produzione saggistica fatta di cronache politico-culturali e indagini sociologiche e letterarie. Chi vuole sapere di calcio e cultura popolare sudamericana deve passare per gli scritti di Pablo Alabarces e capirà qualcosa di cantanti mitologici come Palito Ortega, rock, tifoserie, sistema mediatico, violenza da stadio. Sociologo, argentino classe 1961, Alabarces è titolare di cattedra presso la UBA, l’Università di Buenos Aires. Lo incontriamo a Roma, zona Stazione Termini. Pablo è da poco rientrato nella capitale al termine di un bel soggiorno in una Napoli ebbra di festa per lo scudetto e dopo aver visitato Viggianello, borgo della Basilicata ai piedi del Pollino. «È la quinta volta che sono in Italia. Non ero mai stato nel paese dove nel 1882 nacque Antonio Carmelo Oliveto, mio nonno materno», ci racconta mentre ci incamminiamo verso Piazza

Remo Rapino, un undici fantastico e fantasioso

La storia del calcio è fatta anche di formazioni recitate tutte d’un fiato. Dal glorioso e drammatico incipit Bacigalupo-Ballarin-Maroso del Grande Torino al Zoff-Gentile-Cabrini – buono per la Juve di stampo trapattoniano e per l’Italia di Spagna ’82 – passando per il Sarti-Burgnich-Facchetti della Grande Inter del mago Herrera. Se, citando Eduardo Galeano oltre ad essere mendicanti di buon calcio, lo fossimo anche di letteratura ci sarebbe un nuovo undici da imparare a memoria. Un undici fantastico e fantasioso agli ordini dell’allenatore-partigiano Oliviero che fa così: Milo, Glauco, Osso Nilton, Treccani, Giuseppe, Wagner, Berto Dylan, Efrem Giresse, Pablo, Baffino, Nadir. Una squadra-romanzo piena del sapore della vita, che si confessa in prima persona. A immaginarla in Fubbàll (Minimum Fax, pp. 148, 16 euro) è stato Remo Rapino (1951), insegnante di storia e filosofia di stanza nell’abruzzese Lanciano e già premio Campiello 2020 con Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio . 

Farsi una foto con Dios. L'intervista al fotografo Carlo Rainone

Sette anni fa Carlo Rainone (Palma Campania, 1989), fotografo-documentarista con un curriculum fatto di studi e collaborazioni internazionali, decide di scavare nel ventre della Napoli degli anni ’80, quelli, non solo, del dopo-terremoto, delle guerre di camorra e del contrabbando. Un immaginario che il cinema di questi anni sta riportando in superficie, dal Sorrentino di È stata la mano di Dio al Mixed by Erri di Sidney Sibilia senza dimenticare il Piano piano di Nicola Prosatore. L’obiettivo dell’indagine è assoluto, laborioso e faticoso ma il confronto costante con il fotografo Michel Campeau è di grande supporto. Bisogna infatti scovare la «foto con Maradona», il re della Napoli calcistica per sette tortuosi anni, il patrono pagano della moderna Partenope. Rainone inizia ad inseguire fotografie già scattate. Icone conservate in album di famiglia o piegate in portafogli, appese sui muri di negozi e laboratori, case, pizzerie e ristoranti. La consapevolezza sta tutta nelle parole