Se l’inimitabile coppia made in Palermo è riuscita ad essere specchio dell’Italia della prima Repubblica, per forza di cose si sarà dovuta misurare con la dea Eupalla, la divinità calcistica immaginata da Gianni Brera. Proviamo a vedere come. Nel 1964, ad esempio, quando in una puntata del varietà Cantatutto i due – ospiti fissi del programma – diedero vita ad uno sketch «radiofonico» sul Totocalcio. Nel 1982 poi, anno del successo italiano al mondiale spagnolo, quando incidono in un 45 giri la sigla del gioco-concorso Calcio matto (Rete 1).
Tra i due episodi consumatisi sul piccolo schermo, Franco e Ciccio hanno avuto modo di dire la loro sul calcio anche grazie al cinema. Stavolta dobbiamo riavvolgere il nastro fino al 1970, anno del primo mondiale messicano del Novecento, quello della partita del secolo (Italia-Germania 4-3), l’ultimo targato Jules Rimet e a vedere danzare la stella di Pelé. In Italia, lo scudetto di quella stagione è andato al Cagliari di Gigi Riva detto «Rombo di tuono» e di Manlio Scopigno, il filosofo della panchina. In quei mesi, mentre Alberto Sordi gira Il presidente del Borgorosso Football Club (nel cast anche Omar Sivori, la regia è di Luigi Filippo D’Amico), Franco e Ciccio realizzano un numero incredibile di film. L’ultimo, il numero dieci, si intitola I due maghi del pallone, commedia degli equivoci diretta da Mariano Laurenti che mette in scena le vicissitudini della SCHIAPP, squadraccia di un’industria milanese meridionalizzatasi a Pizzusiccu, immaginario paese del catanese. Il film si offre al pubblico come parodia dell’Italia calcistica di quegli anni, quella di Rivera e Mazzola, del mago Herrera e di Nereo Rocco, el paròn.
Il dibattito sul calcio di allora è ricco e multiforme. Nella carta stampata, a fare da contraltare al citato Brera, re indiscusso dei cronisti/opinionisti, c’è la figura del direttore-manager Gino Palumbo. Anche i grandi scrittori raccontano lo sport più popolare del nostro Paese. Da Luciano Bianciardi a Giovanni Arpino passando per Pier Paolo Pasolini. E proprio Pasolini, nel famoso articolo dedicato alla palla rotonda – quello sulla semiologia del goal e sulle differenze tra il «calcio in prosa» di stile europeo e il «calcio in poesia» di stampo latinoamericano – per descrivere la sua idea di «foot-ball» deve scomodare il Franco Franchi diretto da Laurenti. Scrive Pasolini: «Il sogno di ogni giocatore, condiviso da ogni spettatore, è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Se, entro i limiti consentiti, si può immaginare nel calcio una cosa sublime, è proprio questa. Ma non succede mai. È un sogno che ho visto realizzato solo ne I Maghi del pallone da Franco Franchi, che, sia pure a livello brado, è riuscito a essere perfettamente onirico» (Il giorno, 3 gennaio 1971). Negli ultimi minuti del film infatti, il Mago KK (questo il nome del personaggio interpretato da Franchi) porta la SCHIAPP al successo segnando il gol decisivo (la partita termina 4-3, siamo nel 1970…) grazie a una serie incredibile di dribbling.
Fino ad allora, nella storia del calcio giocato di gol del genere non sembrava essercene traccia. Quella descritta da Pasolini e suggerita dalle movenze di Franchi, era poi un’utopia fantasticata e inimmaginabile nell’Italia di un calcio in prosa. Un calcio basato sul catenaccio e su di un «gioco collettivo e organizzato» che vedeva nel contropiede il puro momento poetico. Per vedere realizzato il gol sognato da Pasolini, ci vorrà un nuovo mondiale messicano, il secondo nel giro di sedici anni.
È il 22 giugno 1986 infatti quando nello stadio Azteca di Città del Messico, Diego Armando Maradona dà anima e corpo alle parole del poeta ucciso nel novembre del 1975. Siamo al decimo minuto della ripresa di Argentina-Inghilterra, match valevole per i quarti di finale. La storia è nota. La gara va oltre i suoi valori sportivi. Sono passati solo quattro anni dalla guerra delle isole Falkland/Malvinas. L’Argentina passa in vantaggio al sesto della ripresa con un gol irregolare segnato dal suo capitano. Gli argentini che ascoltano la partita alla radio sono aggrappati alla voce di Víctor Hugo Morales – elegante signore uruguagio trapiantato sull’altra sponda del Río de la Plata di mestiere locutor, radiocronista – che dalle frequenze di Radio Argentina ammette di aver visto Maradona toccare la pelota con la mano. Quattro minuti dopo però, quando Morales osserva la maglia numero dieci superare la metà campo intuisce che Diego si è ormai lanciato come un aquilone verso la porta inglese e la gloria eterna. Bastano pochi giri di lancetta per passare dalla «mano de Díos» al «gol del secolo». L’Argentina sarà poi campione del mondo.
Sei anni dopo Maradona gioca in Spagna con la maglia del Siviglia. La sua storia con il Napoli si è conclusa nel 1991 dopo un controllo antidoping. Nel 1992, un Franchi stremato dalla malattia fa le sue ultime apparizioni in Tv insieme a Ciccio Ingrassia per la trasmissione Avanspettacolo (Rai Tre). In estate, durante la lavorazione del programma a Napoli, viene ricoverato all’ospedale San Paolo dove, non appena diffusasi la notizia, accorre una folla numerosa. Il 9 dicembre, a Roma, Franchi abbandona il palcoscenico della vita. Aveva 64 anni. Due giorni dopo, oltre quattromila palermitani attraversano il mercato della Vucciria per raggiungere Casa Professa, quartiere Albergheria, una delle principali chiese barocche della città, costruita nel XVI secolo da padri gesuiti. Tra la folla, dietro robusti occhiali da vista Ciccio prova a nascondere la commozione. È volato via il compagno con cui, per oltre quarant’anni, ha fatto ridere l’Italia intera tra cinema, teatro e Tv. Un amico geniale con cui aveva condiviso anche la magia del pallone.
*L'articolo è stato pubblicato su Il Manifesto-Alias il 10 dicembre 2022
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