Passa ai contenuti principali

Fantasmi tra i portici nella Bologna anni '50


«Un romanzo apocrita è un romanzo che non vuole nascondere nulla, un romanzo privo di ipocrisia. Per scriverlo, è come se mi fossi seduto attorno a un fuoco con degli amici o in una stalla, come ero abituato a fare da bambino con mio padre che raccontava storie. Storie sempre popolate da fantasmi. E ho voluto raccontare una storia di fantasmi anche io, mescolando realtà, fantasia e invenzione, usando un linguaggio non contemporaneo e non dimenticando che i fantasmi sono sempre arrabbiati perché hanno lasciato qualcosa in sospeso con la vita». Loriano Macchiavelli (1934) – scrittore, sceneggiatore, drammaturgo, maestro del noir, autore della serie con protagonista Sarti Antonio, sodale da un punto di vista letterario di Francesco Guccini – racconta così I fantasmi si vestono nudi, la sua ultima fatica in libreria (Solferino, pp. 208, 16 euro).

Un romanzo storico abitato da spettri, ambientato nella città di Bologna nel contesto dell’agitata e nervosa Italia degli anni Cinquanta. Un’Italia sì repubblicana e democratica ma ancora piena di tossine legate alla dittatura fascista, ostaggio del rigido centrismo democristiano e in faticosa lotta per l’affermazione dei valori costituzionali. «Ho vissuto quei giorni. Ero un giovane come Santo, il protagonista della storia», sottolinea Macchiavelli. «C’era una gran voglia di fare, di ricostruire, di ripartire. Ricordo quel vulcano di Giuseppe Dozza, l’allora sindaco di Bologna. Sono legato con gioia a quel periodo pieno di slanci generosi e per questo ho aperto una finestra proprio lì, senza dimenticare le tensioni di quegli anni: Scelba, Tambroni, gli scioperi, i morti di Modena e Reggio Emilia».

E nell’inquietudine di allora, lungo i portici di San Luca con i loro serpeggianti giochi di luce e di ombre, prende corpo questa narrazione. «Ho voluto ambientare la storia in questo luogo perché da ragazzo, non avendo nulla da fare alla sera, andavo a passeggiare lì. Al buio. E mentre si camminava si sentivano delle presenze. Ricordo la Certosa con i lumini sulle tombe e quell’enorme ciminiera del monumento ai caduti. C’era il piacere di non sentirsi soli», spiega Macchiavelli mentre introduce il personaggio di Santonastasii Claudio di anni diciassette, per gli amici, come detto, Santo. Figlio di un operaio-partigiano che non c’è più, Santo è un ragazzo «muto, pensieroso, deluso da come sta andando la sua vita». Diviso tra il sogno di diventare corridore professionista perché in salita credeva di andare «piuttosto bene» e un sicuro lavoro come apprendista in una industria tipografica dove, oltre al «puzzo di olio lubrificante», bisogna fare i conti con i manganelli della celere. In officina, dove si perde «la voglia di fare l’amore», Santo inizia a diventare grande e capire, a proprie spese, che «la Resistenza non finisce mai». Accanto alla sua vicenda che lo costringerà a indossare le vesti di indagatore, c’è quella di Crisantemia, «ovvero Eleonora Zanasi, una bella ragazza di diciotto anni che si veste nuda», una «bella di notte», una «spettra, piacevole, disinibita, colta» che continua a vivere in attesa di una qualche forma di giustizia che faccia i conti con la sua morte.

Una fine violenta consumatasi in un orfanotrofio e che temporalmente sposta l’attenzione di chi legge all’aprile del 1945, quando mancavano ormai poche ore alla Liberazione di Bologna dall’oppressione nazi-fascista. L’entrata in scena di Crisantemia mette in crisi la già difficile vita di Santo. Come spiegare a sua madre o ai suoi amici di essersi innamorato di una ragazza morta e senza vestiti? Come distinguere se ciò che accade appartiene al sogno o alla vita? E quando Crisantemia – in un libero adattamento dello stesso autore – reciterà i versi de La Tempesta di William Shakespeare, cosa accadrà nella testa di Santo? «Tutta la mia storia letteraria è legata al teatro», ricorda infine Loriano Macchiavelli. E I fantasmi si vestono nudi, omaggio alla Resistenza bolognese, non è riuscito a sottrarsi a questo felice e fortunato destino.

 *L'articolo è stato pubblicato su Il Manifesto-Alias il 27 maggio 2023.

Commenti

Post popolari in questo blog

«L'è lü!». E il mostro fu sbattuto in prima pagina...

Sei i protagonisti di una grottesca scena messa su dallo Stato italiano. E' il 16 dicembre del 1969 a Roma, in tribunale. Quattro poliziotti ben vestiti, pettinati e con la barba fatta; un ballerino anarchico, con la barba incolta, stravolto dopo una notte insonne per via di un interrogatorio e un tassista milanese. «L'è lü (E' lui)!», escalama il tassista Cornelio Rolandi. «Ma m'hai guardato bene?», ribatte l'anarchico Pietro Valpreda. «Bè, se non è lui, chi'l gh'è no», si convince il Rolandi. E così il mostro fu sbattuto in prima pagina. Il Rolandi si era presentato dai carabinieri di Milano la mattina del 15 dicembre, mentre si svolgevano i funerali di Piazza Fontana, convinto di aver trasportato sul suo taxi il responsabile della strage alla Banca dell'Agricoltura. La sua macchina era posteggiata a poco più di 100 metri dalla filiale. Un uomo con una valigetta aveva chiesto di portarlo nei pressi della Banca e di aspettarlo lì. Pochi minuti dopo era ...

«E a Palermo che birra bevete?»

Palermo, ore 22 circa È sera, ma fa caldo come se fosse mezzogiorno. Siamo ad agosto. Alessandra è andata a dormire. È stanca. Oggi è stato un lungo giorno. Parecchie ore prima Dormiamo in un ostello nel cuore di Ballarò. Dalla stanza da letto si vede la cupola della chiesa del Carmine. Dalle macchine e dalle finestre la colonna sonora che attraversa la città è la musica napoletana neomelodica. Sui muri scorticati e degradati decine e decine di manifesti annunciano i concerti di Gianni Celeste, Mauro Nardi, del piccolo Patrizio, di Gianni Antonio, Gianni Nani, Marco Bologna, Gianni Vezzosi, Tony Colombo e altri ancora. Nino D’Angelo è stato qui a cantare a luglio per la festa di Santa Rosalia. La ragazza della reception ci dice che Nino è un mito a Palermo. Prendiamo la macchina. Oggi dobbiamo andare a Corleone e Portella della Ginestra. Sentivo la necessità vitale di vedere il paese di Liggio, Riina e Bagarella. Dovevo andare a vedere il luogo in cui erano stati uccisi qu...

“La piovra” in onda e la tv battezzò il racconto della mafia

Rai Uno, 11 marzo 1984, ore 20.30. Dopo il Tg, il primo canale della Radio televisione italiana presenta «un film in sei puntate». «Panorami siciliani profondi: un commissario venuto dal Nord indaga sulla morte di un collega, sulla figlia rapita, su una ragazza misteriosa e gattopardesca dedita alla droga, su fatti che non riesce a spiegare, su altri fatti che invece sa spiegarsi benissimo ma che non può provare». Così si legge sul Radiocorriere di quella settimana. Si tratta del primo episodio di uno sceneggiato che, ibridando generi differenti, conterà dieci edizioni. Il pubblico italiano, nell’anno del trentennale del piccolo schermo, guarda «una storia esemplare di mafia» che segnerà per sempre l’immaginario nazionale e internazionale sulla rappresentazione del grande crimine e della Sicilia. La trama di quella prima stagione l’hanno scritta Nicola Badalucco, trapanese, Lucio Battistrada e Massimo De Rita. La sceneggiatura è del premio Oscar Ennio De Concini. Le musiche di Riz Orto...