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Il “mileismo” e i fili sciolti della dittatura militare. Intervista con il sociologo Pablo Semán


«In queste ore, in Argentina, si registrano diversi stati d’animo. E, ovviamente, tanta incertezza. Da un lato, grande angoscia negli ambienti kirchneristi e peronisti per quello che potrebbe essere il nuovo governo. Dall’altro, speranza in Javier Milei e gioia per aver distrutto il kirchnerismo». A scattare questa fotografia, a pochi giorni dal risultato elettorale che ha visto il trionfo di Milei e del suo partito La Libertad Avanza (LLA), è Pablo Semán, sociologo e antropologo dell’Università di San Martín. In apertura di conversazione Semán sottolinea: «Tra chi è uscito battuto dalle urne, sembra esserci una specie di negazione o di illusione che il nuovo governo abbia vita breve. Il tutto appare un modo di negare a sé stessi la sconfitta. Credo poi che il sentimento della vittoria, il piacere di aver liquidato il kirchnerismo, non appartenga solo alla classe alta, così come la rabbia per la sconfitta non stia solo nelle classi popolari. Come queste sensazioni si relazionino però con i gruppi sociali è ancora troppo presto per dirlo».

Semán, che tipo di destra rappresentano Milei e la LLA?

La sua è una destra vigorosa, di ispirazione libertaria. Una destra estrema che punta su uno Stato minimo, sul libero commercio e sul massimo rispetto della proprietà privata. In Argentina questa destra si articola a partire da un conflitto contro il kirchnerismo e i sintomi dell’inefficienza statale. C’è anche un sentimento antifemminista ma non possiamo considerarlo la sua massima forza propulsiva. Le spinte maggiori sono la critica dello Stato, della politica e dell’economia. Il mileismo è una espressione di queste tre crisi.

Cosa ha detto Milei al Paese durante la sua campagna elettorale?

Molte cose… dalla vendita degli organi alla legalizzazione del porto d’armi. Su alcune di esse non ha poi fatto ritorno o ha detto che erano esperimenti teorici, come la questione degli organi o la compravendita di bambini. In generale, ha fatto sempre proposte estreme che a seconda del contesto raccontava con più o meno moderazione. L’obiettivo era avere un elettorato il più ampio possibile.

Proviamo a leggere tra i dati del voto.

Nel cosiddetto interior, le zone interne del Paese, Milei ha avuto maggior successo che a Buenos Aires città e Buenos Aires provincia. Il voto giovanile per Milei è stato molto importante. Tra le cause, anche qui, la critica dello Stato, della politica e dell’economia, e le condizioni di lavoro informale e precario. I sentimenti di rabbia e antipolitica non spiegano tutto. Milei è riuscito a costruire una immagine di futuro.

La pandemia che ruolo ha giocato?

La pandemia ha catalizzato gli effetti della crisi mettendo al centro di tutto l’incapacità della politica di agire. Il combustibile spirituale del mileismo, dopo dieci anni di crescita costante dell’inflazione, è la questione economica.

Queste elezioni arrivano a quarant’anni dal ritorno dell’Argentina alla vita democratica. Che valore assume quindi il risultato elettorale?

È la prima volta che vince un partito tanto di destra per governare l’economia argentina. La democrazia inaugurata nel 1983 ha avuto crisi catastrofiche nel 1989 e nel 2001. Quella di oggi, che ancora non ha la forma di una rottura istituzionale, rischia di minare alcuni fondamenti democratici, come il pluralismo e la pace sociale. C’è il rischio di vedere la repressione come una variante centrale nella azione di governo.

Ci sono quindi legami con le esperienze politiche del passato?

Il mileismo raccoglie i fili sciolti e moribondi dell’esperienza della dittatura militare e recupera con forza l’esperienza di Menem da un punto di vista delle liberalizzazioni. Ovviamente questa è una destra diversa. Ma Milei, nonostante una distanza generazionale, appartiene alla stessa famiglia politica liberale, mercatista e autoritaria di chi ci ha già governato in passato, dittatura compresa.

Lei ha parlato del voto mileista come un voto contro la casta. Chi rappresenta la casta in Argentina?

Milei ha chiamato “casta” la dirigenza politica degli ultimi quarant’anni. La casta è un significante abbastanza denso e autonomo con cui Milei sceglie chi ne fa parte e chi non. Ad esempio, Macri e Menem, da questo punto di vista, non vi rientrano.

Nel progetto politico di Milei, come stanno insieme nacionalismo e dolarización?

Molti suoi votanti sono globalisti. Considerano la nazione come uno spazio di ordine e disciplina e la dollarizzazione per loro significa la disciplina monetaria che la politica argentina non è in grado di garantire e che, attraverso le sue articolazioni statali, considerano una specie di ente di emissione incontrollata di moneta.

Che relazione avrà con la Chiesa cattolica argentina e con Bergoglio?

Milei flirta con il fondamentalismo religioso evangelico – in Argentina ci sono molti evangelici ma non tutti sono fondamentalisti – e con una parte del fondamentalismo ebraico. Non sappiamo quale sarà il livello di pragmatismo che contraddistinguerà il suo governo. Al momento predominano in lui atteggiamenti dogmatici ed estremisti. Credo che la distanza con il Papa rimarrà la realtà predominante.

Che tipo di azione politica può opporsi realmente al mileismo?

Peronismo, radicalismo, sinistra peronista, partiti più centristi come Cambiemos e pezzi del partito di Macri, devono riflettere su ciò che è accaduto in modo improrogabile, altrimenti continueranno a perdere. A questo lavoro devono partecipare organizzazioni sindacali e sociali, movimenti territoriali e mondo intellettuale. Se non ci sarà un rinnovamento, continueranno a commettere gli errori di sempre.

Alla luce di queste elezioni, che sapore ha oggi la stagione del kirchnerismo?

L’era kirchnerista ha un sapore dolce per un settore sempre più minoritario della popolazione. I giovani che ne hanno vissuto l’ultima fase non ne hanno un buon ricordo se non attraverso i loro padri. Dal 2011, la sua unica politica è stata l’autocelebrazione. E oggi è un ostacolo per il rinnovamento della sinistra e delle forze democratico-popolari. Ricorda la metafora dal cane dell’ortolano. Né mangia, né lascia mangiare.

*L'intervista è stata pubblicata su IlManifesto.it

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