Vittorie e sconfitte. Ostilità e alleanze. Amicizie e rivalità. Di questi ingredienti ama nutrirsi il racconto sportivo. Un genere narrativo che per entrare nell’immaginario collettivo ha bisogno però di un elemento che permetta agli ingredienti di fermentare e far giungere a perfetta lievitazione l’impasto di immagini e parole scelte, affinché la cronaca sappia andare al di là di sé stessa. Per farsi storia, epica, leggenda. Questo fattore determinante risponde al vocabolo «sfida» ed ha una serie di sinonimi su cui è interessante soffermarsi: minaccia, intimidazione, confronto, lotta, contesa, duello, provocazione.
L’elenco ragionato di lemmi appena scorso è infatti il miglior strumento per affrontare la lettura e cogliere l’essenza di Senna e Prost La sfida infinita, l’ultimo libro di Umberto Zapelloni, pubblicato dalla casa editrice 66thand2nd nella collana «Vite inattese» (pp. 149, € 16,00). Perché quella che ricostruisce Zapelloni – già responsabile della redazione sportiva del Corriere della Sera, vicedirettore della Gazzetta dello Sport e testimone diretto della rivalità Senna-Prost – è la storia di un antagonismo così spietato che nella storia dello sport si fa fatica a ritrovare. Più di quello fra Bartali e Coppi nel ciclismo del secondo dopoguerra, oltre il dualismo Rivera-Mazzola nel calcio degli anni del boom o la rivalità targata Rossi-Biaggi nel motociclismo tra vecchio e nuovo secolo. In apertura di volume Zapelloni sottolinea come la loro battaglia non abbia conosciuto limiti e sia stata capace di ridisegnare, tra anni ‘80 e ’90, i confini di uno sport ad altissimo contenuto tecnologico, la Formula 1 in cui «il compagno di squadra sarà sempre il termine di paragone più importante per un pilota».
I venti capitoli che compongono il libro raccontano dieci anni di automobilismo che prendono il via con il Gran Premio di Monaco datato 3 giugno 1984 per chiudersi con la violenta morte di Senna del Primo Maggio 1994 sul circuito di Imola. Nel mezzo lacrime, annunci, una finta pace e una pace armata, desideri di vendetta, rivendicazioni, messaggi di affetto, quieti apparenti, accuse, pole position, imprudenti partenze, sorpassi sotto la pioggia, pit stop, dialoghi con Dio, vittorie e sconfitte. I due piloti, per un periodo compagni di scuderia con licenza di guerreggiare fra loro in un dream team McLaren messo su da Ron Dennis (32 gran premi tra il 1988 e il 1989 e un mondiale ciascuno), infatti, «si sono sfidati a parole e fatti», «si sono disprezzati in pista e fuori», a un certo punto «non si guardavano neppure più», «non si parlavano tra di loro, ma si sfidavano attraverso la stampa e la televisione». Perché «avevano sempre qualcosa da dire», «un messaggio da mandare», «una sfida da lanciare».
Da una parte Alain il professore francese nato a Lorette nel 1955, dall’altra il Magic Ayrton da San Paolo del Brasile classe 1960. Due piloti accomunati dalla voglia di vincere. Senna rischiando, Prost ragionando. Alain controllando «l’istinto con la mente». Ayrton inseguendo «la spettacolarità». Due orientamenti esistenziali verso uno sport in cui si guarda la morte negli occhi secondo per secondo. «Io non sono un pilota all’inizio di carriera dove il cuore conta in ogni situazione per mettersi in evidenza. Comunque ciascuno fa quel che vuole della propria vita e della vettura», dichiarava Alain al termine di un GP di Silverstone vinto sotto la pioggia da Senna nel luglio 1988.
«Essere un pilota significa che stai correndo contro altri piloti. Se vedi un varco e non provi a infilarti significa che non sei più un pilota. Un pilota corre per vincere. La mia motivazione principale è la vittoria. Qualche volta posso sbagliare, qualche volta può andare diversamente da come tu avevi pensato. C’è chi si prende dei rischi, chi preferisce evitarli. Alla fine io sono un pilota che corre per vincere» risponderà Ayrton al tre volte campione del mondo Jackie Stewart dopo il secondo storico incidente di Suzuka, quello del 1990 che vedrà il brasiliano trionfare sul francese quell’anno passato alla Ferrari. La narrazione, nonostante il laborioso e certosino lavoro intorno alle citazioni delle loro dichiarazioni pubbliche, non rimane comunque tutta compressa sulla contrapposizione fra i due piloti ma si nutre anche della presenza di altri personaggi di grande spessore. Dal già citato presidente della McLaren Ron Dennis al francese Jean-Marie Balestre, a lungo presidente della Federazione internazionale dell’automobile (FIA), senza dimenticare l’avvocato Gianni Agnelli che vedeva in Prost e nei suoi riccioli una sorta di Platini soltanto un po’ meno spiritoso.
Dalla corte ferrarista di Cesare Fiorio a cui Zapelloni dedica un capitolo alla figura di un altro grande pilota, il Leone d’Inghilterra Nigel Mansell, compagno e rivale di Prost alla Ferrari, capace di contendere un mondiale a Senna nel 1991 prima di salire sul tetto del mondo nel 1992 sfrecciando su di una Williams. Senna e Prost. La sfida infinita si offre a lettori e lettrici con una copertina disegnata da Osvaldo Casanova in cui vediamo le sagome dei due piloti di spalle e riconoscibili per via dei caschi che richiamano i colori delle bandiere francese e brasiliana.
Questa illustrazione, in cui Senna appoggia la sua mano sinistra sulla spalla di Prost, sembra tradurre graficamente le ultime affettuose parole pronunciate da Ayrton all’ormai ex collega-rivale prima di correre il suo ultimo GP a bordo di una Williams: «E per cominciare un saluto al mio caro amico Alain Prost, che mi segue dal box. Alain, mi manchi». Andò proprio così il primo maggio di trent’anni fa, estremo epilogo di un tragico week-end sportivo che aveva già visto morire su quel circuito sabato 30 aprile il pilota austriaco Roland Ratzenberger. «Formula zero» avrebbe titolato il manifesto il 3 maggio. Il Brasile intanto piangeva, affranto e distrutto, il suo Magic Ayrton, l’uomo che, come non ricordare Lucio Dalla, faceva il pilota correndo veloce per la sua strada ma che ormai aveva chiuso gli occhi per riposare.
*L'articolo è stato pubblicato su Il Manifesto-Alias il 24 febbraio 2024.
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