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Visualizzazione dei post da maggio, 2025

Marco Grossi, Giuseppe De Santis e un testo inedito del neorealismo

Dialogare con Marco Grossi, docente di storia del cinema (Accademia di Belle Arti di Frosinone), direttore artistico del «Fondi FilmFestival» e segretario dell’Associazione De Santis, vuol dire immergersi nel mondo di un regista, Giuseppe De Santis, che nella sua carriera ha realizzato undici film, tutti indimenticabili. Tra le opere che non videro la luce, un progetto Tv per la Rai: uno «sceneggiato sul neorealismo nel cinema» che avrebbe raccontato gli anni che separavano Ossessione (1943) da Rocco e i suoi fratelli (1960). Quella idea iniziale di cinquantadue cartelle è oggi contenuta nel volume La strada dei vent’anni – Per un racconto televisivo del neorealismo (Iuppiter, pp. 132). Grossi, ci racconta questa operazione editoriale da lei curata? Un anno fa, dopo aver visto su Rai 3 una puntata della docu-serie Illuminate dedicata a Suso Cecchi d’Amico, mi sono ricordato di quando, nel 1999, le telefonai per raccontarle i primi passi dell’associazione De Santis. Lei mi disse allora...

Giuseppe De Santis, Portella della Ginestra e un film mai fatto

Tra i diversi film non realizzati da Peppe De Santis, c’era un progetto sulla strage proletario-contadina di Portella della Ginestra. Quell’eccidio terroristico-mafioso datato Primo Maggio 1947 non poteva non colpire l’immaginazione di un uomo «cresciuto nell’alveo della società contadina», un «poeta del realismo sociale» (così lo definì Costa-Gavras), autore in pieno Neorealismo di una celebre Trilogia della terra ( Caccia Tragica , 1947; Riso Amaro , 1949; Non c’è pace tra gli ulivi , 1950). Eravamo nel bel mezzo degli anni ’50 quando il regista nato nel 1917 a Fondi, nella sua «Ciociaria della costa», aveva deciso di guardare al «cuore della tragica e gloriosa terra di Sicilia» del dopoguerra. Una stagione «di fame, di sete, di disperazione», in cui i «proprietari di mulini e grossisti di grano e di farina» erano «immischiati nella onorata società e talvolta capi della mafia» ed in cui «un giovane (…) di nome Salvatore Giuliano, faceva borsa nera». Era la Sicilia dei decreti Gullo ...

A lezione di storia con Stefano Bizzotto. Tra fútbol e geopolitica

Se nel simbolismo biblico, con il numero dodici si indicano l’insieme delle tribù di Israele e il gruppo degli apostoli di Gesù Cristo, nella tradizionale e più terrena iconografia del mondo del calcio, al numero dodici spettavano – difficile se non impossibile immaginare che competano completamente ancora, tra esigenze di marketing, questioni giudiziarie e cronaca nera – due cose. La prima . Incarnare la malinconia dell’eterno e fedele secondo portiere costretto ad accomodarsi in panchina in attesa che al titolare sventolassero un cartellino rosso o succedesse una disgrazia. La seconda . Assegnare ai gruppi di supporters più fedeli, variopinti e passionali il ruolo di dodicesimo calciatore in campo (vedasi, a titolo esemplificativo, l’indiavolata e spesso discussa tifoseria azul y oro del Boca Juniors, denominata appunto “La Doce”). Lo scrittore e giornalista Stefano Bizzotto – celebre telecronista Rai, veterano narratore di campionati del mondo, europei e olimpiadi tanto estive quan...