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A lezione di storia con Stefano Bizzotto. Tra fútbol e geopolitica

Se nel simbolismo biblico, con il numero dodici si indicano l’insieme delle tribù di Israele e il gruppo degli apostoli di Gesù Cristo, nella tradizionale e più terrena iconografia del mondo del calcio, al numero dodici spettavano – difficile se non impossibile immaginare che competano completamente ancora, tra esigenze di marketing, questioni giudiziarie e cronaca nera – due cose. La prima. Incarnare la malinconia dell’eterno e fedele secondo portiere costretto ad accomodarsi in panchina in attesa che al titolare sventolassero un cartellino rosso o succedesse una disgrazia. La seconda. Assegnare ai gruppi di supporters più fedeli, variopinti e passionali il ruolo di dodicesimo calciatore in campo (vedasi, a titolo esemplificativo, l’indiavolata e spesso discussa tifoseria azul y oro del Boca Juniors, denominata appunto “La Doce”).



Lo scrittore e giornalista Stefano Bizzotto – celebre telecronista Rai, veterano narratore di campionati del mondo, europei e olimpiadi tanto estive quanto invernali – si affida anche lui a questo iconico numero a due cifre per scrivere di calcio e delineare una storia di questo sport visto, appunto, attraverso la lente di dodici incontri, dodici risultati, dodici date, dodici luoghi, dodici fotografie. Un racconto diviso, ovviamente, in dodici capitoli – esclusa la bonus track dell’introduzione – che vanno a comporre le 270 pagine di Storia del mondo in 12 partite di calcio (Il Saggiatore, Collana “La Cultura”, 17 euro).

Una narrazione lunga soltanto poco più di un secolo perché pronta a prendere il via il giorno di Natale del 1914 nel doloroso contesto della Grande Guerra per tagliare il traguardo il 13 novembre del 2015 allo Stade de France di Parigi, in quella lunga e drammatica notte che insanguinò la capitale francese. È dunque la violenza della guerra fra Stati e le logiche del terrorismo di matrice islamista a fare da contorno a queste appassionate e appassionanti pagine che aiutano, per fortuna, a guardare ancora al pallone con uno sguardo non convenzionale, sfidando le logiche ultraliberiste dello sportwashing, gli invadenti dati statistici e le inefficaci iperboli narrative che ne influenzano lo sviluppo e le moderne forme di narrazione.

Alla guerra si accennava. È da lì che Stefano Bizzotto – in sintonia e in contrapposizione con lo spirito del tempo che attraversa il racconto della politica internazionale – sceglie di partire. Da un imprecisato luogo lungo il Fronte occidentale di combattimento – nel libro si racconta che siamo «probabilmente nei pressi di Ypres», nelle Fiandre (Belgio) – dove il fango entra negli scarponi dei soldati e dove si rischia di inciampare sui corpi in putrefazione dei commilitoni colpiti a morte da giorni. Settimane. Mesi. È lì che la «guerra di movimento» in men che non si dica si è macabramente trasformata in «guerra di posizione». Con i tedeschi che provano ancora ad attaccare mentre belgi e francesi, con il supporto degli inglesi, tentano di difendere i propri confini. È da quelle parti che nascono le credibili e leggendarie cronache di un Natale in cui – sulle note di Stille Nacht, heilige Nacht (Notte silenziosa, Notte santa) – una rappresentativa dell’Infanterieregiment della Sassonia supera con il risultato di tre reti a due una selezione britannica dei Lancashire Fusiliers.

Delle moderne forme di terrorismo, si diceva poi. È in questa chiave di lettura che l’autore sceglie di chiudere il proprio percorso narrativo. Siamo ancora nel cuore del vecchio continente e ad affrontarsi in una gara amichevole sono le nazionali di quelle che abbiamo imparato a conoscere come le locomotive d’Europa, Francia e Germania. È la sera del 13 novembre del 2015, dieci mesi dopo l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo, quando ci saranno diverse esplosioni all’esterno dello stadio mentre les Blues si imporranno sulla Mannschaft per due a zero. Ciò che accade allo Stade de France è però solo un pezzo di un mosaico terrorista che invade in più punti Parigi e che vede il teatro Bataclan, con le sue novanta vittime, come epicentro principale delle violenze jihadiste.

Tra il primo e il dodicesimo episodio di questa lenta ed inesorabile corsa, ci sono altre dieci storie per studiare e capire cosa abbia attraversato il ventesimo secolo. «Può capitare che anche la più anonima delle partite incroci la Storia, scritta con la maiuscola, che cambi il destino di una persona, di una comunità, di una nazione. Magari all’insaputa di chi gioca. Basta poco: un tiro che finisce sul palo anziché in porta, il fischio (o non fischio) dell’arbitro, le scelte di un allenatore. Ma anche il contesto ambientale, la politica che diventa regime e sfrutta lo sport più praticato al mondo per i propri fini», si legge nell’introduzione.

Parole che aprono il sipario su di un palco dove vedremo materializzarsi lo stadio di Wembley e l’Europa tra le due guerre; lo spettro del nazismo e la leggenda del Grande Torino attraverso la figura di un interista, Benito «Veleno» Lorenzi. E poi, la Spagna franchista e l’Unione Sovietica con Lev Jašin a difenderne la rete; lo scontro fra Honduras ed El Salvador (1969) che la penna di Kapuściński avrebbe fotografato come «la prima guerra del football» a precedere una «partita fantasma» nel Cile di Pinochet. Restando nel decennio ’70, uno sguardo ai mondiali tedesco-occidentali del 1974 ed all’Africa di allora con la «punizione al contrario» di Joseph Mwepu Ilunga in Brasile-Zaire e la «vendetta mancata» nella finale tutta europea vinta dalla Germania Ovest sull’Olanda del Totaalvoetbal. Prima del tragico epilogo parigino del 2015, i conti con la Guerra Fredda attraverso una «morte sospetta» nella Germania all’ombra del Muro; i nuovi (dis)ordini globali con la disgregazione della Jugoslavia tra i mondiali di Italia ‘90 e la mancata partecipazione dei brasiliani d’Europa ai giochi continentali di Svezia ‘92.

Storie di uomini in carne e ossa di fronte ad un destino che, il messaggio è chiaro, si fa imprevedibile.

Una narrazione ricca di aneddoti e curiosità sempre essenziali che emozionano e fanno riflettere. Con la convinzione che «calcio e politica» non siano altro che «due mondi che da sempre si attraggono, si respingono, a volte confliggono».

*L'articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2025 su Gli Stati Generali.

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