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Raffaello Lucarelli, il Lumière di Sicilia

 PALERMO - Negli ultimi cinque anni della sua vita, Antonio La Torre Giordano – storico del cinema con una piacevole ossessione per la settima arte delle origini – si è dedicato al faticoso ed affascinante sogno di ricostruire la vita di un «avanguardista», un globe-trotter sedotto lungo i sentieri tracciati dai fratelli Lumière e Thomas Edison, capace di legare il suo destino di pioniere alla euforica Palermo della Belle Époque. In questa città affacciata sul Mediterraneo dove convergevano iniziative imprenditoriali, politiche e culturali in connessione con la «modernità internazionale», troverà collocazione Raffaello Lucarelli da Gualdo Tadino, città umbra dove vide la luce l’11 ottobre del 1879. Alla sua epopea visionaria, sincera, temeraria, dandy e un po’ naif, La Torre Giordano ha dunque dedicato Raffaello Lucarelli il Lumiére di Sicilia La vera storia del cineasta umbro (Lussografica, pp. 246). Un libro-dossier imponente ricco di immagini, documenti, manifesti, parole e colori che sfogliamo insieme a lui, in un pomeriggio di fine estate, davanti a un caffè ai Cantieri culturali della Zisa.

La Torre Giordano, cosa accadeva il 2 ottobre 1905?

Centoventi anni fa, nasceva la Lucarelli Cinema, una delle prime case di produzione cinematografiche italiane. Il suo fondatore, Raffaello Lucarelli, è una figura di assoluto rilievo del cinema italiano delle origini e del cinematografo Lumière, il modello tecnico con cui iniziò a lavorare. Siamo pochi mesi dopo la fondazione della Cines.


Parliamo di un pioniere che ha saputo cogliere, nei primi anni del Novecento, le potenzialità di questa nuova forma d’arte e di intrattenimento.

Lucarelli rischiò di diventare uno dei padri del nostro cinema, suo malgrado. Fu l’antesignano di quel gigantesco set che poi sarebbe diventato la Sicilia e anche il primo a consorziarsi con case di produzione straniere, come la Lumen, l’Eclipse e la Pathé con cui condivise la primogenitura dei cinegiornali. Sarà gestore di sale cinematografiche, cineoperatore, regista, documentarista, produttore e distributore con la sua Sicania Film contribuendo a far diventare Palermo una città non secondaria nella storia del precinema. Con i suoi documentari, ha contribuito alla crescita della Sicilia e del Paese. Siamo in un periodo in cui, mi preme ricordarlo, ciò che veniva prodotto da Napoli in giù era considerato immeritevole di distribuzione. Da qui la sua idea di consorziarsi con la Pathé.

Come arriva qui a Palermo?

A Parigi conobbe l’imprenditore Vincenzo Florio junior che gli prospettò un sostegno logistico-economico nel caso in cui lui avesse voluto fare affari a Palermo. I Florio, in quel momento, dovevano documentare i loro eventi sportivi e mondani.

Quando ha iniziato a indagare su Lucarelli?

Dieci anni fa, all’Archivio di Stato di Palermo, mi finì nelle mani un documento prefettizio in cui si chiedeva ai carabinieri di Gualdo Tadino se Raffaello Lucarelli fosse una persona perbene e senza pendenze, poiché il re Vittorio Emanuele II voleva conferirgli l’onorificenza di Cavaliere d’Italia. Contattai il comune di Gualdo dove ho trovato l’entusiasmo a ricostruire questa biografia nel sindaco Massimiliano Presciutti e in Mauro Guidubaldi che ringrazierò per sempre per la competenza e la passione con cui mi ha accompagnato.

Cosa l’ha stregata di questo personaggio?

Il suo essere, in modo un po’ sconsiderato, un apostolo del cinema. Un eroe privo di freni inibitori.

Oltre Gualdo, dove è andato ad indagare per ricostruire questa epopea?

Sono stato all’Archivio di Stato di Roma e a quello di Palermo, alla Cinémathèque française e alla Cinémathèque suisse. Ho attinto a fonti archivistiche in gran parte di prima mano e ho avuto accesso a materiali inediti conservati da collezionisti privati qui in città. Infine ho raccolto testimonianze dall’archivio della famiglia Montangelo, legato genealogicamente a Barbara Lucarelli, sorella di Raffaele, cofondatrice della Lucarelli Film.

Riportare in vita la storia di Lucarelli su cosa ci «costringe» a ragionare?

Sulla passione per l’innovazione tecnologica, la sperimentazione, il sapersi adattare a mercati nascenti. E poi sulla capacità di intuire le potenzialità del cinema che lui considerava frutto della rivoluzione industriale più che uno strumento di informazione e di educazione. Infine, sui suoi film ritrovati.

Tra i ritrovamenti, cosa c’è di particolarmente interessante?

Quello riscoperto presso un fondo archivistico della Fondazione Pathé di Parigi è un tesoro cinematografico che pensavamo perduto. Un capitolo di storia del cinema italiano ed italo-francese, che per alcuni aspetti va riaggiornato grazie alla scoperta di tre titoli addirittura privi di catalogazione. Parliamo di Terremoto in Sicilia, film «dal vero» girato Raffaello e Lorenzo Lucarelli dopo il devastante terremoto di Messina del 1908, del poliziesco Liquor somniferus del 1914, ispirato ai serial noir francesi come il Fantomas di Louis Feuillade, che ci mostra ampie inquadrature di Via Libertà con le sue ville liberty ed infine de Il silenzio del cuore. Di quest’ultimo, anch’esso del 1914, dramma borghese a tinte poliziesche con scene di stampo espressionista, a Perugia, il prossimo 17 ottobre, in occasione del Premio Lucarelli, potremo vedere quasi tredici minuti colorizzati.

Ci sono luoghi dove è possibile, fisicamente, incontrare, respirare la sua epopea?

A Palermo, l’edificio che ospitava il Cinemateatro Lucarelli è ancora in piedi ed ospita la libreria Feltrinelli. Siamo a pochi passi dal Teatro Massimo dove, nel 1905, inaugurò la prima sala stabile, la sala «Edison & Lumière» poi bombardata durante la Seconda guerra mondiale. In Via Pignatelli Aragona c’è invece l’edificio dove abitò.

Se dovesse scrivere un biopic su Lucarelli, quale sarebbe la prima scena ci farebbe vedere?

Quella di un ragazzino di 10-12 anni che frequenta il negozio di fotografia di famiglia nel centro di Gualdo. È lì che lui si forma. È lì che legge i primi cataloghi di fotografia. È lì che va in giro con il papà e con alcuni parenti a scattare foto nei paesi circostanti, a fare le foto da mettere poi nei documenti. In quell’epoca, tutti avevano bisogno di riprodurre la propria immagine.

*L'articolo è stato pubblicato sabato 4 ottobre 2025 su Alias-Il Manifesto.

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