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Marco Grossi, Giuseppe De Santis e un testo inedito del neorealismo

Dialogare con Marco Grossi, docente di storia del cinema (Accademia di Belle Arti di Frosinone), direttore artistico del «Fondi FilmFestival» e segretario dell’Associazione De Santis, vuol dire immergersi nel mondo di un regista, Giuseppe De Santis, che nella sua carriera ha realizzato undici film, tutti indimenticabili. Tra le opere che non videro la luce, un progetto Tv per la Rai: uno «sceneggiato sul neorealismo nel cinema» che avrebbe raccontato gli anni che separavano Ossessione (1943) da Rocco e i suoi fratelli (1960). Quella idea iniziale di cinquantadue cartelle è oggi contenuta nel volume La strada dei vent’anni – Per un racconto televisivo del neorealismo (Iuppiter, pp. 132). Grossi, ci racconta questa operazione editoriale da lei curata? Un anno fa, dopo aver visto su Rai 3 una puntata della docu-serie Illuminate dedicata a Suso Cecchi d’Amico, mi sono ricordato di quando, nel 1999, le telefonai per raccontarle i primi passi dell’associazione De Santis. Lei mi disse allora...
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Giuseppe De Santis, Portella della Ginestra e un film mai fatto

Tra i diversi film non realizzati da Peppe De Santis, c’era un progetto sulla strage proletario-contadina di Portella della Ginestra. Quell’eccidio terroristico-mafioso datato Primo Maggio 1947 non poteva non colpire l’immaginazione di un uomo «cresciuto nell’alveo della società contadina», un «poeta del realismo sociale» (così lo definì Costa-Gavras), autore in pieno Neorealismo di una celebre Trilogia della terra ( Caccia Tragica , 1947; Riso Amaro , 1949; Non c’è pace tra gli ulivi , 1950). Eravamo nel bel mezzo degli anni ’50 quando il regista nato nel 1917 a Fondi, nella sua «Ciociaria della costa», aveva deciso di guardare al «cuore della tragica e gloriosa terra di Sicilia» del dopoguerra. Una stagione «di fame, di sete, di disperazione», in cui i «proprietari di mulini e grossisti di grano e di farina» erano «immischiati nella onorata società e talvolta capi della mafia» ed in cui «un giovane (…) di nome Salvatore Giuliano, faceva borsa nera». Era la Sicilia dei decreti Gullo ...

A lezione di storia con Stefano Bizzotto. Tra fútbol e geopolitica

Se nel simbolismo biblico, con il numero dodici si indicano l’insieme delle tribù di Israele e il gruppo degli apostoli di Gesù Cristo, nella tradizionale e più terrena iconografia del mondo del calcio, al numero dodici spettavano – difficile se non impossibile immaginare che competano completamente ancora, tra esigenze di marketing, questioni giudiziarie e cronaca nera – due cose. La prima . Incarnare la malinconia dell’eterno e fedele secondo portiere costretto ad accomodarsi in panchina in attesa che al titolare sventolassero un cartellino rosso o succedesse una disgrazia. La seconda . Assegnare ai gruppi di supporters più fedeli, variopinti e passionali il ruolo di dodicesimo calciatore in campo (vedasi, a titolo esemplificativo, l’indiavolata e spesso discussa tifoseria azul y oro del Boca Juniors, denominata appunto “La Doce”). Lo scrittore e giornalista Stefano Bizzotto – celebre telecronista Rai, veterano narratore di campionati del mondo, europei e olimpiadi tanto estive quan...

Roberta Torre, la lunga storia del gangster musical

«Ho visto Emilia Pérez e mi è piaciuto molto perché non è un musical classico. È un film con dei codici unici. Da un punto di vista tecnico, questa idea del recitare cantando l’ho trovata notevole. Il film ha questa dinamica in cui la recitazione diventa cantata con una forma particolare. Perché non è una melodia ma una sorta di dialogo musicale». A descriverci così il film francese di ambientazione messicana di Jacques Audiard (13 nominations agli Oscar 2025) è Roberta Torre, la cineasta che di gangster-musical ne sa qualcosa. Basti pensare al suo irriverente esordio cinematografico. Un musical in cui la violenza mafiosa fu lavorata a ritmo di rock and roll, rap, sonorità neomelodiche, sceneggiata e disco music. Si intitolava Tano da morire , premio «Settimana internazionale della critica» e Leone del futuro al Festival di Venezia del 1997. Cosa l’ha colpita di più della narco-opera di Audiard? Il balletto dei fucili e dei mitra che vengono presi, buttati e ripresi. È una coreografia...

Quando era “L'ora” di raccontare la mafia

Un bambino in calzoncini e maglietta. La bocca che strepita per richiamare i passanti. Tra le mani un pugno di copie de L’Ora, quotidiano della sera con il tempo diventato un oggetto da collezione. Questa fotografia, scattata da Mario Cattaneo nel 1952, è oggi la cover de L’alba dell’antimafia. Palermo, “L’Ora” e le prime inchieste sull’onorata società (Donzelli). Un lavoro prezioso realizzato dallo storico contemporaneista Ciro Dovizio dell’Università di Milano. Pagine che ci portano a un mondo dell’informazione diverso dall’attuale ma che allora, come oggi, per alimentarsi e crescere in modo florido, aveva bisogno di un punto di vista politico che desse spessore ai fatti, alle opinioni, alle inchieste. I giornalisti e gli intellettuali che collaborarono con L’Ora – tra loro Felice Chilanti, Giuliana Saladino, Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo – fecero tutto questo con uno sguardo capaci di rispondere, attraverso la forza di un giornalismo democratico, ad una crescente violenza maf...

Vittorio Pozzo e l’oro olimpico del 1936

15 agosto 1936. Olympiastadion di Berlino, capitale della Germania nazista. Sul prato verde, davanti a 90.000 spettatori, le nazionali olimpiche di Italia ed Austria si affrontano per la finale del torneo di calcio. In palio, c’è l’oro olimpico. Gli azzurri sono allenati da Vittorio Pozzo, il commissario tecnico che aveva guidato senza successo l’Italia alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 e a quelle di Parigi del 1924 e che due anni prima, nel 1934, battendo a Roma la Cecoslovacchia per 2 a 1 (l’oriundo Orsi e il bolognese Schiavio i marcatori), aveva invece portato gli azzurri – stemma dei Savoia e fascio littorio sul petto – alla conquista del suo primo mondiale, la leggendaria Coppa Rimet. Stavolta, agli ordini dell’ex ufficiale alpino che aveva conosciuto il fango nelle trincee della Grande Guerra, c’è un gruppo di giovani universitari che non hanno mai giocato per la nazionale maggiore. Nella compagine azzurra, spiccano i nomi di tre calciatori che con Pozzo trionferanno ai mondi...

“La piovra” in onda e la tv battezzò il racconto della mafia

Rai Uno, 11 marzo 1984, ore 20.30. Dopo il Tg, il primo canale della Radio televisione italiana presenta «un film in sei puntate». «Panorami siciliani profondi: un commissario venuto dal Nord indaga sulla morte di un collega, sulla figlia rapita, su una ragazza misteriosa e gattopardesca dedita alla droga, su fatti che non riesce a spiegare, su altri fatti che invece sa spiegarsi benissimo ma che non può provare». Così si legge sul Radiocorriere di quella settimana. Si tratta del primo episodio di uno sceneggiato che, ibridando generi differenti, conterà dieci edizioni. Il pubblico italiano, nell’anno del trentennale del piccolo schermo, guarda «una storia esemplare di mafia» che segnerà per sempre l’immaginario nazionale e internazionale sulla rappresentazione del grande crimine e della Sicilia. La trama di quella prima stagione l’hanno scritta Nicola Badalucco, trapanese, Lucio Battistrada e Massimo De Rita. La sceneggiatura è del premio Oscar Ennio De Concini. Le musiche di Riz Orto...