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Pablito e il mondiale. Un calcio alla storia nell'anno dei boss

Paolo Rossi non c’è più. Da un paio di giorni, intanto, Pablito si è incamminato lungo i viottoli della Storia. Del mito. Della gloria eterna. Lo ha fatto esalando gli ultimi respiri fra le braccia di sua moglie Federica, su di un letto d’ospedale nella città di Siena. Una volta diffusasi la notizia della sua comparsa, ci hanno pensato i media di tutto il mondo a ricordarne le gesta eroiche, condensate in quella copiosa mezza dozzina di gol distribuiti in ordine decrescente (3-2-1) a Brasile, Polonia e Germania Ovest nel mondiale di Spagna di trentotto anni fa. Paolo Rossi capocannoniere, Pallone d’oro e Italia campione del mondo per la terza volta nella sua storia, la prima in epoca democratica e repubblicana. Era l’anno del signore 1982. Già, il 1982. Un momento non certo qualunque nella recente storia del nostro Paese. Molto probabilmente, un numero a quattro cifre ancora incapace di graffiare l’immaginario collettivo con le vicende che porta nel suo grembo. Se il biennio ’68-’69 e ...

L’amore di un’Argentina in ginocchio per «quello che chiamiamo un Dio»

Il popolo argentino ha dato l’ultimo saluto a Diego Armando Maradona, un peronista nato a Villa Fiorito, all’interno della Casa Rosada. Non senza polemiche e problemi di ordine pubblico. Per l’emergenza sanitaria e non solo. Nel palazzo presidenziale Maradona si sentiva di casa. Dal suo balcone si affacciò nel 1986, dopo la conquista della Coppa del mondo al mondiale messicano. Un anno fa circa, nel dicembre 2019, Diego era andato a far visita al neoeletto presidente Alberto Fernández, che in queste ore gli ha detto addio mettendo sulla bara una camiseta dell’Argentinos Juniors. La sua squadra del cuore, il primo club professionistico di Diego che da qualche anno a questa parte gioca nello stadio già intitolato al suo numero dieci più famoso. «IN QUALUNQUE LUOGO Maradona fosse stato vegliato sarebbero nate polemiche, ma il fatto che sia stata scelta la Casa Rosada è un fatto insolito nella nostra storia», racconta Fortunato Mallimaci, sociologo dell’Università di Buenos Aires, profondo...

Il caso Dante Troisi

Nel bel mezzo dell’Italia degli anni ’50, nel tribunale di provincia di «C.», «situato a metà strada tra due grandi città», lavora un giudice che prima di indossare la toga partì volontario per la Seconda guerra mondiale e rientrò in patria nel ’46 dopo un periodo di prigionia in Texas. La città cosparsa di bombe che lo vede «sacerdote» della giustizia è Cassino, fornace ardente nei giorni di guerra e ancora oggi crocevia fra Napoli e Roma. Il giudice si chiama Dante Troisi, era nato a Tufo (Avellino) nel 1920 e nella da poco sorta Repubblica italiana, pratica anche il mestiere della scrittura. Nel 1955, pubblica per Einaudi, nella collana I gettoni di Elio Vittorini, Diario di un giudice , l’autocronaca di un «uomo oppresso dalla solitudine cui lo costringe l’esercizio stesso della sua professione». Il libro sarà un successo diventando allo stesso tempo, per Troisi, un corpo di reato per aver compromesso, secondo l’art. 18 della Legge sulle guarentigie della magistratura, «il prestig...

Il Maradona politico

Populista e terzomondista. Invocato come un Dio terreno e esecrato come un Diavolo. Caro a capi di Stato e di governo ma nemico dei potenti della Fifa. Eroe popolare e amico di camorristi. Leader su un campo di calcio e prigioniero di vizi e debolezze nella vita privata. Figlio affettuoso e marito infedele. Star televisiva e eterna preda per telecamere indiscrete. Evasore fiscale e uomo generoso. Queste prime righe non sono certo sufficienti a descrivere l’indefinibile complessità di quel mostro sacro della storia del calcio che è (stato) Diego Armando Maradona e che oggi, 30 ottobre 2020, a pochi giorni dall’80esimo compleanno di Pelé, festeggia il suo genetliaco numero sessanta. E per uno che ha vissuto una vita di eccessi come el pibe de oro , non era forse così scontato arrivare a questa cifra tonda non di certo trascurabile. Sulla sua figura si è scritto, fotografato, filmato, raccontato tanto, (forse) troppo. Il suo corpo lo abbiamo visto crescere, strutturarsi, tonificarsi, info...

Il fascino discreto della mafia immaginaria

Nell’anno del centenario della nascita di Alberto Sordi, quel gran fusto dell’Albertone ce lo ritroviamo armato di pistola, coppola, baffo sicilian style e sguardo verso il bersaglio, sulla copertina de La mafia immaginaria , l’ultimo libro del critico cinematografico Emiliano Morreale (Donzelli editore, pp. 344). L’immagine è tratta da Mafioso di Alberto Lattuada, un film del 1962, e forse non c’è fotogramma migliore che possa essere scelto per sintetizzare settant’anni di Cosa Nostra nel cinema italiano. Non tanto per il valore e l’ importanza dell’opera in sé, quanto per la capacità del volto di Sordi di evocare e rimarcare il ruolo del cinema come grande cronista dell’Italia del Novecento. Una pellicola, quella di Lattuada, che ci riporta al contesto politico-culturale dei primi anni ’60, segnati dal boom economico, dalle migrazioni interne e il rapporto con gli States , dai governi di centrosinistra, dalla strage di Ciaculli (sette militari uccisi in una borgata palermitana),...

"I cento passi" compiono venti anni

“Un film è sempre un'opera d'arte e non riproduce mai la realtà così com'è ma attraverso un certo sguardo, attraverso un certo taglio interpretativo la reinventa, la trasfigura e la carica di senso”. Così recitava Luigi Lo Cascio nei panni di Peppino Impastato ne I cento passi (2000), il biopic che ne ricostruisce la vita fino al suo omicidio per mano mafiosa, consumatosi a Cinisi il 9 maggio del 1978, lo stesso giorno del ritrovamento a Roma di un esanime Aldo Moro, trucidato dalle Brigate rosse.  Peppino, giovane militante di Democrazia proletaria, si rivolgeva ai suoi compagni per dar vita a una discussione post-film. Al circolo Musica e cultura del suo paese, a due passi da Palermo e nel pieno degli anni ’70, ci si interrogava sul destino del proprio territorio, facendo controinformazione e politica in mille modi. Anche attraverso il cinema.  Quella sera un folto pubblico aveva appena terminato la visione collettiva de Le mani sulla città di Francesco Rosi, film del...

Strage di Bologna, De Luna: «Abbiamo bisogno di più storia e meno memoria»

«Viviamo in un’Italia sospesa, sospesa tra passato e futuro. La pandemia ha inciso sul presente e ha fatto sì che la domanda più ricorrente che ci attraversa riguarda il domani che ci attende, se cambieranno o meno le nostre vite o se tutto rimarrà come prima. Sono questi gli interrogativi che alimentano l’inquietudine di questo tempo. Ci sono molti dubbi e poche certezze. Questo stato di sospensione è quello che ci caratterizza in questo momento». Giovanni De Luna – docente di Storia contemporanea all’Università di Torino, volto noto di Rai Storia e firma del quotidiano La Stampa – fotografa così l’Italia che in questa estate si appresta a vivere il quarantesimo anniversario della strage di Bologna. Con i suoi 85 morti e 200 feriti, quello avvenuto nel capoluogo emiliano il 2 agosto 1980 – a poco più di un mese dalla tragedia di Ustica – è stato il più cruento eccidio che la nostra Repubblica abbia registrato. Si materializzò alle ore 10.25 di un sabato italiano, in una stazione ferro...